Compleanni simultanei ieri, per Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, che insieme (75 anni il primo e 60 il secondo) totalizzano più età dei tre leader di USA, Inghilterra e Spagna messi insieme. Compleanni sincroni ma diversi: il premier a lavoro a Palazzo Grazioli (ma dopo un party, la sera prima, organizzato da Alessandra Mussolini, che, per una sera, ha dimenticato le sue “urgenze” a difesa della dignità delle donne) e il segretario del Pd che si è goduta la pace e la serenità domestica, a casa sua, con la moglie Daniela e le due figlie, Elisa e Margherita. A luglio scorso (ed il tema è stato ripreso da Mentana in apertura del Tg de La7, ieri sera), Antonio Merlo, direttore del dipartimento di Economia della University of Pennsylvania, dimostrò con i fatti che abbiamo la classe politica più vecchia e strapagata al mondo e, insieme, la meno istruita e preparata nella storia della Repubblica. In altre parole “la più mediocre classe politica che l’Italia abbia avuto dal 1948”, frutto di una vocazione “mediocratica”, che è propensione tutta italiana a far sedere in Parlamento non i migliori, ma gli “unfit to lead”, gli inadatti a governare, per usare una celebre frase usata dall’Economist per definire Berlusconi, che di questa classe politica è il simbolo è l’emblema.
Il risultato dei calcoli complessi che Merlo pubblicò a fine luglio su “Il Fatto Quotidiano”, confermano che l’Italia ha bisogno di una rivoluzione istituzionale e non di qualche taglio, di un intervento urgente sulla legge elettorale perché quella attuale (il sistema elettorale a liste chiuse) incentiva “in modo perverso” i partiti a selezionare “non i migliori candidati possibili ma i più mediocri, i cosiddetti yesman, utili ad assecondare il partito e il capo e a votare compatti anche quello che un cittadino intellettualmente onesto mai voterebbe”. Ecco perché secondo Merlo “i provvedimenti indicati nella bozza di riforma di Calderoli vanno sicuramente nella direzione giusta, ma rischiano di restare un contentino senza una riforma istituzionale del sistema politico”. In definitiva, ci diceva Merlo, in Italia c’è una sorta di regno autonomo della mediocrazia, dove in sessant’anni le retribuzioni dei governanti sono cresciute del 1.185% con una media annua del 10%, mentre quelle dei governati solo di qualche punto percentuale. Dove i governati hanno sudato per garantire ai figli un’istruzione universitaria, mentre tra i governanti il numero di laureati scendeva drasticamente. Di questo passo, si arriverà presto al paradosso che il corpo degli eletti sarà meno istruito dei suoi stessi elettori, suggellando così il definitivo trionfo della mediocrazia.
Prima del 92-94 si entrava in Parlamento con un’età media di 44,7 anni contro i 48,1 della Seconda. Oggi la media è 50 anni. Decisamente il Paese con la classe politica più vecchia d’Europa e che tende ancora a restare in Parlamento di più, sganciandosi dalla tendenza delle altre nazioni a rinnovare la classe dirigente puntando su eletti mediamente più giovani. Il tasso di ricambio in Parlamento, calcolato come la proporzione dei nuovi entranti nel periodo 1953-2008, si è attestato intorno al 40 per cento. Nella II Legislatura (1953-58) era stata del 37,6 per cento, mentre aveva raggiunto la quota minima del 26,3% nella VIII Legislatura (1979- 1983). Nella XII Legislatura (1994-1996), che ha segnato l’inizio della Seconda Repubblica, il tasso di ricambio è balzato al 69,5 per cento e da allora si è mantenuto costante attorno al 45-50%. A dispetto della qualità del ceto politico in picchiata, le indennità parlamentari sono schizzate alle stelle sganciandosi da quanto accadeva nel resto del Paese. In Italia l’indennità parlamentare annua, in termini reali (misurata in euro del 2005), è aumentata da 10.712 euro nel 1948 a 137.691 euro nel 2006, il che significa un aumento medio del 9,9 per cento all’anno e un incremento totale di 1.185,4 per cento (negli Stati Uniti l’incremento annuale è stato dell’1,5 per cento e l’incremento totale del 58%!). E, in un clima di sacrifici per tutti, gli unici a non essere toccati, in nessuna delle quattro manovre del governo, sono sempre loro: i politici.
Entrare nel Parlamento Italiano conviene sempre: i redditi totali dei deputati nel primo anno di attività in Parlamento aumentano del 77% rispetto a quelli dell’anno precedente. Sempre ricordando il capillare lavoro di Merlo, è evidente come l’inizio della fine sia coinciso con l’avvento di Berlusconi. L’andamento delle curve relative a età, istruzione, assenteismo e indennità presenta uno snodo netto tra il 92 e il 94, cioè nel periodo in cui, dalle ceneri di Tangentopoli, nasceva il partito di Silvio Berlusconi, che ha reclutato una classe dirigente diversa dal passato, proponendo al posto della rappresentanza politica del Paese il modello privatistico dello stato-azienda. Da allora le leggi ad personam si sono moltiplicate, i mali atavici dell’assenteismo e degli alti costi della politica si sono acuiti e il Paese è arretrato economicamente. Da allora ogni linea segue una tendenza diversa e contraria rispetto al passato, peggiorativa rispetto ai livelli di qualità della Prima Repubblica. E anche guardando a sinistra, come lo stesso Luca Telese riconosceva a ottobre 2010, le cose non vanno molto diversamente. E non è solo per una questione di età, ma anche, più in generale, di mediocrazia diffusamente applicata. Le nostre sinistre dicono di essere cambiate, di essere diventate liberal-democratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti sono gli stessi. Sicchè, la montagna di aspettative degli anni Novanta ha partorito poco più che un topolino di realizzazioni concrete ed un topolino pieno di danni genetici e di malformazioni.
In “Vivere di politica”, saggio edito da Il Mulino nel 2010, Luca Verzichelli ci ricorda che gli scandali degli ultimi anni, la lievitazione dei ‘costi della politica’ e la percezione di una corruzione ancora diffusa, hanno smentito le attese di chi credeva in un vero rinnovamento, suggerendo l’idea che la nuova classe politica abbia, in fondo, gli stessi caratteri, peggiorati, della vecchia. Confrontando i dati relativi al 1985 (il momento di massima espansione della vecchia ‘partitocrazia’) e quelli odierni, non emergono differenze notevoli per quanto concerne il numero di professionisti della politica, la lunghezza delle loro carriere o l’età anagrafica. Inoltre, per quanto riguarda i criteri di selezione, il cursus honorum all’interno del partito è ancora estremamente importante e i metodi volti a favorire una maggiore trasparenza nelle scelte (come le primarie) sono stati finora adottati, con qualche eccezione, solo come strumenti per legittimare una leadership già definita. E questo in modo trasversale, sia a destra che a sinistra.
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