Tornano ad alzarsi le fiamme dell’odio e della tensione in Cisgiordania, alimentate da un incendio doloso appiccato la notte scorsa nella moschea del villaggio palestinese di Jaba, vicino a Ramallah, e attribuito all’ennesima ‘spedizione punitiva’ di coloni ultra’. La leadership del governo israeliano ha condannato oggi come un fatto grave l’attacco impegnandosi a dar la caccia ai colpevoli, mentre sul luogo accorrevano unita’ dell’esercito e della polizia dello Stato ebraico per indagare. L’Autorita’ nazionale palestinese (Anp), per bocca di un portavoce del presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha peraltro denunciato proprio i vertici politici d’Israele come corresponsabili indiretti dell’accaduto: accusandoli di lasciare sostanzialmente impunite le violenze dei coloni e di sostenere viceversa progetti di espansione degli insediamenti.
Il premier Benyamin Netanyahu non ha comunque esitato nel definire la profanazione ‘un gesto intollerante di teppisti irresponsabili’. Mentre il ministro della Difesa, Ehud Barak, ne ha parlato come di ‘un atto grave’ in se’ e come d’una pericolosa ‘provocazione’ nei confronti delle forze armate israeliane, chiamate a garantire lo sgombero di avamposti selvaggi di coloni o di costruzioni abusive innalzate negli insediamenti (tutti illegali, secondo il diritto internazionale) in violazione delle stesse norme edilizie israeliane.
Il tentato rogo ha fatto salire intanto la collera fra la popolazione palestinese locale. A Jaba si e’ precipitato pure il ministro per gli Affari Religiosi dell’Anp, Mahmud al-Habbash, il quale non ha risparmiato recriminazioni verso il governo israeliano, bollando come puramente verbali le espressioni di condanna dei coloni violenti. ‘Le parole di Netanyahu non bastano, servono i fatti’, ha poi riecheggiato da Ramallah il portavoce di Abu Mazen, Nabil Abu Rudeinah.
L’attacco alla moschea di Jaba si inserisce in un’ormai lunga lista di episodi analoghi, negli ultimi tempi, anche se il piu’ recente incendio di un luogo di culto risale a qualche mese fa. Le scritte inneggianti al ‘prezzo da pagare’ (strategia di intimidazioni e vendette trasversali teorizzata apertamente dai gruppi di coloni nazionalisti piu’ fanatici) non sembrano lasciare spazio neanche stavolta a dubbi sulla matrice. Riconducibile probabilmente nell’occasione a settler decisi a contrastare con ogni mezzo l’annunciata demolizione di cinque palazzine abusive nel vicino insediamento ebraico di Beit El: a dispetto d’una sentenza definitiva della Corte suprema.
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