La pace in Medio Oriente ‘e’ sempre piu’ un’utopia perche’ stiamo assistendo a un irrigidimento del conflitto ideologico tra le due parti, israeliana e palestinese. Non e’ facile trovare una soluzione quando ci sono due destre cosi’ forti’. Lo afferma mons. William Shomali, vescovo ausiliare e vicario generale per la Palestina del Patriarcato latino di Gerusalemme, incontrando alcuni giornalisti di testate italiane. ‘La difficolta’ politica – spiega Shomali – viene dall’insicurezza di cui e’ causa l’occupazione israeliana del ’67 e che Israele, pero’, non riconosce come occupazione’. ‘Qui nasce il conflitto ideologico’, aggiunge, che si estende a tutte le questioni, ‘da quella dei confini, a quella dei profughi, da quella della disputa su a chi appartenga lo spazio aereo, a chi l’acqua, a quella degli insediamenti costruiti nei Territori occupati che rendono sempre piu’ difficile la soluzione internazionale dei due stati secondo i confini del ’48’.
La Chiesa, spiega il vescovo, non deve impegnarsi in una ‘mediazione diretta’ perche’ ‘noi non siamo una istanza politica’. Tuttavia, prosegue, deve farlo ‘a livello indiretto perche’ le idee sono libere ed e’ a questo livello che possiamo influenzare come, ad esempio, ha fatto Benedetto XVI quando e’ venuto in visita in Terra Santa e ha parlato della soluzione dei due stati, due popoli’. ‘La pace non arriva – sospira mons. Shomali – ma la speranza rimane anche se ogni anno diminuisce poiche’ la situazione diviene sempre piu’ complessa, ideologizzata e abbiamo paura che sara’ sempre piu’ difficile superarla’.
Mons. Shomali, che lamenta come la percentuale dei cristiani in Israele, Giordania e Palestina sia ormai scesa ‘al minimo storico’, parla anche della sua preoccupazione per l’evoluzione della cosiddetta ‘Primavera araba’. ‘Perche’ si passi davvero alla democrazia – spiega – c’e bisogno della fede, come e’ avvenuto in Polonia dopo la caduta del Muro. Ma nel mondo arabo c’e’ una cultura della violenza, come vediamo in Siria’. ‘Assad e’ un dittatore – osserva Shomali – ma meglio un dittatore che mantiene la stabilita’ che il caos, tra due mali bisogna scegliere il meno peggio. Ora abbiamo una situazione drammatica, si muore di fame e se la ‘rivoluzione’ e’ fallita in Egitto dove c’era un islam moderato, in Siria dobbiamo aspettarci una situazione dieci volte peggiore, con le minoranze che, dopo Assad, saranno ancora piu’ vessate e vittime di terribili vendette’. ‘Bisogna rinunciare al sogno americano di esportare la democrazia in cinque settimane – sottolinea il vescovo -. Ci vuole molto piu’ tempo per passare da uno stato all’altro come dimostra il caso dell’Iraq mentre in Egitto i Fratelli musulmani hanno scippato la rivoluzione al popolo declinandola in senso islamista’.
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