Che la tregua sia annunciata o mano stasera, il primo presidente islamico egiziano Mohamed Morsi emerge dalla crisi di Gaza come il nuovo playmaker di una regione il cui assetto e’ stato cambiato a fondo dall’ondata delle primavere arabe.
I giorni di guerra, trattative e mediazioni hanno portato l’Egitto di nuovo in primo piano nello scacchiere mediorientale, rivisitando lo stretto rapporto che il precedente regime, quello di Hosni Mubarak, aveva con gli Stati Uniti e di riflesso anche con Israele. L’opinione pubblica egiziana, gia’ prima della rivoluzione, era molto critica di una collocazione che giudicava troppo allineata da parte dell’ex rais con Israele: Paese col quale l’Egitto fu il primo Stato arabo a firmato uno storico accordo di pace, a Camp David, nel 1979.
Arrivato al potere, Morsi ha da subito detto esplicitamente che non era sua intenzione rivedere i trattati internazionali sottoscritti nel passato, ma allo stesso tempo non ha mai nascosto la sua freddezza nei confronti del vicino ‘sionista’, sottolineando, invece, il suo sostegno alla causa palestinese.
Senza nascondere una nuova attenzione verso Hamas, fazione che controlla subito al di la’ del Sinai l’inquieta Striscia di Gaza e che e’ storicamente un’emanazione degli stessi Fratelli musulmani egiziani.
La vittoria di Morsi nelle presidenziali di giugno e’ stata accolta d’altronde con toni entusiastici dalla leadership di Gaza. E il credito nei confronti di Hamas, oggetto di ostracismo da parte di tutta la comunita’ internazionale, e’ stato ora uno dei fattori determinanti nel consentire all’Egitto di richiamare al tavolo della trattativa i due contendenti.
L’altro elemento che ha giocato a suo favore e’ di essere il rappresentante di una nuova classe politica nel mondo arabo, frutto di elezioni dirette e democratiche per la prima volta in decenni. Lo stesso segretario generale della Lega araba, Nabil Araby ha osservato, durante la riunione straordinaria dei ministri degli Esteri convocata per esaminare la crisi a Gaza, che ormai i leader arabi devono rispondere ai propri cittadini.
Una svolta che ha dato a Morsi da un lato legittimita’ e dall’altro gli ha permesso di puntare su una operazione delicata con lo sguardo rivolto anche alle esigenze interne.
Dimostrandosi interlocutore serio e responsabile, Morsi ha tenuto aperto di fronte all’Usa e all’Occidente il filo del negoziato per gli aiuti economici al paese il cui bilancio e’ in serie difficolta’ dopo la rivoluzione. Al tempo stesso, accreditandosi come ‘amico’ di Hamas, potra’ magari contare sull’aiuto della fazione radicale palestinese per tentare di riprendere il controllo del Sinai: in preda ormai al caos per la presenza di trafficanti e di cellule del jihadismo ultraintegralista.
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