Nel 2009, dopo aver appreso che il super critico Bonito Oliva aveva definito quel ‘museo’ “una scultura architettonica, una grande forma percorribile e tridimensionale caratterizzata dal temperamento di Zaha Hadid”, affermai su queste colonne, serenamente, che con un museo questo MAXXI non ha assolutamente nulla a che fare. Per questi grandi, prolifici gestori, guru, onnipotenti dell’Arte Assoluta, il fine di un’opera non è piacere alla comunità, alla gente che contempla, o nel caso di un museo essere predisposto alla funzione per cui è stato creato, ma far parte esclusivamente di una gestione mercantesca dell’arte. Ripeto: concetto espresso nel 2009.
Finalmente hanno dato una risposta alla domanda che avevo fatto! Quando Maria Laura Rodotà, sul Corriere di Roma a luglio di quest’anno, cita il MAXXI positivamente, esaltandolo sol perché tutta l’accolita dei Grandi critici d’Arte hanno decretato che è un’opera d’arte, commette un grande atto di sottomissione e provincialismo culturale. Tutti i restanti esseri ragionanti, invece, si domandarono immediatamente a cosa servisse quell’edificio, visto che quella conformazione strutturale non permetteva una utilizzazione museale! Allora ci si chiese candidamente: cosa caspita ce ne facciamo? A chi lo diamo? Si tirarono in ballo i keynsiani, i board of trustees, o i sognatori della cultura! Si riciclano i festival o le feste con i lucchetti dell’amore? Queste sarebbero le strategie finanziarie per la gestione della cultura? Prima si costruisce qualcosa a caro prezzo (tramite archistar stranieri) e poi si pensa a cosa possa servire? O dietro a questa improvvisa presa d’atto che il MAXXI non serve assolutamente a niente, si nasconde qualche manovra per la quale lo si vuole svendere a due lire a qualche amico degli amici di qualcuno? (Scritto a luglio). La risposta, a tre anni di domande, ora c’è stata finalmente: Melandri! Ora sappiamo del perché del MAXXI! Serviva a piazzare l’ennesima personalità politica della sinistra impegnata!
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