Da quando le elezioni del 4 marzo lo hanno costretto alle dimissioni da segretario, Matteo Renzi si è defilato ufficialmente, imponendosi il silenzio e l’autocontrollo, atteggiamenti necessari per darsi una tregua dal fuoco amico e nemico che lo ha martirizzato in questi anni, ma certamente forzati per chi è convinto di essere nel giusto sulle scelte fatte e su quelle da fare. È dunque la sua un’assenza che prelude al ritorno.
Renzi non è Godot, e non lo stiamo aspettando inutilmente. Sta già lavorando al suo rientro dietro il sipario e presto tornerà protagonista come primo attore sul palcoscenico della politica. Si preparino i vari Travaglio, Scanzi, Mieli, Pasquino e i tanti soloni che su La 7 hanno lanciato l’anatema e auspicato la sua fine ingloriosa.
Renzi è ancora quello che vede la luna quando tutti guardano il dito, è quello che ha capito prima degli altri che i due galli cedroni miracolati dal voto – Matteo Salvini e Luigi Di Maio – non avrebbero abbassato le loro creste e avrebbero lottato per la supremazia fino a lasciarci le penne. Lo dicono i fatti, che gli danno ragione sui pronostici e sulla tattica dell’arrocco che sta dando i suoi frutti.
Il popolo, ottenebrato dalle mirabolanti promesse di una personale crescita felice garantita da uno Stato-mamma che ti mantiene senza chiederti nulla, ha creduto di avere trovato finalmente soluzione ai problemi dell’esistenza e tra i giovani più sfaccendati è passata l’idea di potere sbarcare il lunario senza spostarsi dal bar di riferimento.
Dall’altra parte, geograficamente e culturalmente distante, i votanti si inebriavano dell’idea altrettanto suggestiva di poter guadagnare a volontà senza doverne dare conto ai predoni del fisco.
Le due trovate dei furbetti della politica hanno prodotto il risultato che si è visto e di cui hanno beneficiato i due falsi profeti, eroi rispettivamente del Sud e del Nord Italia, come da copione che si recita dai tempi del Congresso di Vienna nel Regno delle Due Sicilie e nel Lombardo Veneto.
Nell’attesa del reddito di cittadinanza e della flat tax, temporaneamente scomparsi dai reality show di sapore e sopore politico in onda da 50 giorni sulle reti televisive, tra i due litiganti il terzo gode. E se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come crediamo probabile, si è stancato della farsa recitata finora, la sua prossima mossa sarà un preincarico a Fico, che potrebbe diventare portatore d’acqua alla riunificazione di una sinistra finora scollegata e sconnessa, con buona pace dei sogni di gloria dei due proclamati vincitori e con il giusto riconoscimento della credibilità di un governo che pensa al bene comune e non agli egoismi dei singoli. Finirà davvero così? Lo sapremo presto.