Amina aveva 16 anni e, costretta a sposare il suo stupratore, che in questo modo aveva evitato la galera, non ce l’ha fatta a vivere accanto al suo aguzzino e si e’ suicidata, bevendo del veleno per topi. Amina era ‘ieri’, oggi il volto delle ragazze marocchine che si ribellano all’applicazione di un articolo del codice penale che diventa una patente di impunita’ per gli stupratori, e’ quello di Safae, che ha 15 anni, ma che ne aveva appena 14 quando e’ stata stuprata e messa incinta dal suo spasimante respinto.
Safae, come Amina, aveva cercato di ribellarsi, ma ha scelto la strada ufficiale. Accompagnata dalla madre, e’ andata dal giudice e dal procuratore, tra le lacrime ha esposto loro il suo caso. I due magistrati l’hanno ascoltata, facendole pero’ intendere che stava sbagliando, esercitando in questo modo su di lei, poco piu’ che una bambina, pressioni che non poteva sopportare. Alle fine, approfittando del fatto che Safae fosse stata lasciata sola dai genitori, che pure le sono stati accanto, s’e’ ritrovata sposata al suo stupratore. Una cosa, le ha detto il giudice, che ha soprattutto salvato il suo onore.
Vicende come quella di Safae (denunciata dall’ong ‘Equality now’), viste con l’occhio di chi non e’ marocchino, appaiono assurde, ma sono la quotidianita’ nel Regno dove, a dispetto delle aperture verso la condizione femminile previste nella nuova Costituzione, il Paese reale marcia molto piu’ lentamente delle innovazioni che il re Mohamed VI vorrebbe introdurre nella vita quotidiana dei suoi sudditi.
La condizione della donna in Marocco sembra camminare con passi incerti perche’, quando si tratta di violenze sessuali compiute da innamorati respinti, la magistratura appare permeata di preconcetto buonismo e sembra non vedere l’ora di potere applicare quel che per le organizzazioni femminili e’ il famigerato art.475 del Codice penale che, autorizzando il matrimonio tra la vittima e il suo stupratore, fa cadere a carico di quest’ultimo qualsiasi accusa.
Il caso della giovanissima Safae e’ didascalico nella sua drammaticita’ per gli elementi che lo caratterizzano: la giovane eta’ della vittima e la condizione di debolezza sociale per la gravidanza, la sua fragilita’, l’esercizio della pressione psicologica dei magistrati, lo spettro del disonore per la ragazza e la sua famiglia. Le donne marocchine pero’ stanno cercando di fermare questa spirale, denunciando che l’applicazione dell’art.475 consente ai colpevoli di continuare ad esercitare la violenza in quelle che da vittime sono diventate moglie e a ricadere in questo meccanismo nel caso, non infrequente, di divorzio o ripudio dopo il matrimonio che e’ solo per loro riparatore.
Lo stesso testo dell’articolo, che ‘autorizza’ il matrimonio ‘dei violentatori con le loro vittime’ tutto appare fuorche’ veramente mirato a sanzionare, pesantemente, i colpevoli. Che, sulla carta – quando la vittima e’ minorenne -, rischiano condanne che, pur partendo da appena due anni, possono arrivare a trent’anni di reclusione. Ma, denunciano le organizzazioni femministe, condanne del genere sono, a volere essere ottimisti, rarissime.
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