Quando sento paragoni tra i migranti clandestini che muoiono in mare nel tentativo di venire qui da noi e i nostri connazionali morti nella miniera belga di Marcinelle l’8 agosto 1956, provo rabbia e tristezza. Quando sento dire: “Anche noi italiani siamo andati all’estero”, mi viene da rispondere: “Non avete capito nulla”.
I nostri connazionali che morirono a Marcinelle non giunsero in Belgio clandestinamente, ma con tutti i documenti in regola. Essi arrivarono in quei Paesi regolarmente. Lo stesso discorso valse anche per i molti italiani che emigrarono dal nostro Paese e che si recarono in altri Paesi e vale tuttora per i nostri connazionali che vanno all’estero per cercare fortuna. Chi andava in un Paese estero clandestinamente veniva preso e rispedito in patria senza troppi complimenti. Lo stesso accade tuttora.
Coloro che morirono in quella miniera belga, morirono mentre compivano il proprio lavoro, cercando di farlo con dignità, pur con tutte le difficoltà del caso. Dunque, come ho scritto prima, quando sento paragoni tra i migranti clandestini che muoiono in mare nel tentativo di venire qui da noi e i nostri connazionali morti a Marcinelle provo una grande tristezza. Quel paragone è veramente fuori luogo. Anzi, molti di quelli che fanno questo paragone sono le stesse persone che incoraggiano proprio quel business che c’è intorno ai migranti clandestini, i quali fanno quei “lavori che noi italiani non vogliamo fare”. In realtà, noi italiani saremmo disposti a fare anche quei lavori, ma farsi sfruttare è ben altra cosa. I morti di Marcinelle meritano rispetto e non la becera strumentalizzazione.