Sia la Bce che l’Unione Europea esprimono perplessità sulla “manovra rinnovata”, in cui il governo spera di recuperare il terreno perso dall’Italia attraverso una maggior stretta fiscale e non si pronuncia circa le modifiche strutturali (rinviate sine die) o le entrate da destinare a ripresa e lavoro. E mentre di nuovo Piazza Affari registra un venerdì nero (con un secco, -3,9%) e Berlusconi perde credibilità con l’ennesimo sexgate ed una nuova, incredibile risposta, ancora più impensabile di quella della nipotina di Mubarak, circa gli aiuti a Tarantino, crescono, fra gli osservatori, i molti dubbi su quanto prospettato dal governo per una riforma che, invece, attende di essere varata in fretta e con molta serietà.
Il carcere per evasori sopra ai 3 milioni di euro è chiaramente una finta, come finti soni i tagli della politica. Se davvero si volesse colpire la gran massa di evasori che avvelena questo paese, non pagando nulla ma usufruendo di strade, scuole ed ospedali, si dovrebbe seguire l’esempio di Germania e Inghilterra, che hanno appena stipulato un accordo con le banche svizzere per tassare i patrimoni “segretati” all’estero, con una operazione che vale, stimano gli esperti, 12 miliardi di euro: una bella somma per un Paese che si arrampica sugli specchi e pensa, invece, ad un aumento dell’IVA, solo perché questa misura colpisce il consumatore generico e non le grandi lobbies.
Per lo stesso motivo non si possono toccare i grandi patrimoni, come non si prevedono norme per artigiani e liberi professionisti, che continueranno bellamente ad evadere una gran parte di imposte, dichiarando redditi da miserabili, nonostante ville ed altri accessori di lusso.
Vorrei chiedere agli elettori di destra, come fa Mario Giordano sul Giornale, a quali valori liberali corrisponda l’idea di trasformare ogni cittadino in un agente della Stasi, cercando di fomentare l’invidia sociale e la vendetta trasversale di condominio. La trasparenza fiscale è cosa buona e giusta, come scrive Vittorio Feltri, siamo d’accordo. Ma un conto è la trasparenza fiscale, un conto la delazione fiscale. I Comuni hanno tutti gli strumenti per sapere quanto guadagnano i cittadini: davvero pensiamo che non possano muoversi per aiutare lo Stato senza pubblicare i redditi nel web? Davvero il sindaco di un paese, per sapere che l’idraulico con la Ferrari non può essere nullatenente, ha bisogno di mettere il suo modello Unico su Internet? Siamo seri: la norma della pubblicazione dei redditi non è uno strumento moderno di lotta all’evasione. È banalmente la riedizione della pubblica gogna. Un modo per tornare al Medioevo in piena era tecnologica. Si comportavano allo stesso modo i monarchi assoluti prima dell’unità d’Italia, con imposte sul sale, il macinato ed il fumatico, che garantivano proventi dai più miserabili con reciproche delazioni e conservazione di privilegi per i più ricchi e potenti.
Con i nuovi emendamenti del governo si ripercorre, ma in modo distorto e peggiorato, la via che la stessa destra criticò, quando il ministro Visco tentò, nel 2008, di far capire ed attuare l’emersione delle somme sottratte allo Stato.
A preoccupare il premier, racconta Repubblica, sono due fattori: primo, la tenuta politica della maggioranza. Secondo, il silenzio della Lega. Non è un mistero infatti che Roberto Maroni sia molto irritato per quei tagli ai Comuni che, dopo la riunione di Arcore, sarebbero dovuti passare da 6 a 3 miliardi e che, invece, restano pesanti con uno sconto di solo 1,8 miliardi. Preccupazioni politiche ed alte, non quisquiglie come quelle che chiedono milioni di italiani, preoccupati di quale futuro ed indirizzo avrà questo “paese di merda", secondo una definizione dello stesso Berlusconi al telefono, a metà di luglio scorso.
Come scrive il sempre caustico Vittorio Zucconi, il governo sembra affetto, a partire dal suo leader, dalla sindrome “Jekill-Fuast”, proponendo cose degne di gabellieri alla Visco e Padoa-Schioppa, dei “tax and spend” della sinistra, delineando ciò che dicevano di odiare: uno stato rapace con “lacci e lacciuoli”, dopo che aveva addirittura predicato la “moralità” dell’evasione di fronte ad aliquote rapinose.
Sicchè adesso c’è gran confusione nella ciurma composta dai sopravvissuti del Psi craxiano, i laureati della DC forlaniana e andreottiana, i gerarchi di quella Alleanza Nazionale che e’ sempre stata l’ala statalista della destra secondo il proprio dna fascista e dai clan della Lega Nord. E anche gli italiani che a quella variopinta ciurma hanno creduto, ora si accorgono che i Cicchitto, i Gasparri, i Tremonti, i Letta, non solo non sono riusciti a liberalizzare l’Italia, ma non sanno neanche come manovrarla per farla uscire dalla tempesta. Coloro i quali hanno, con il loro reiterato voto, firmato il patto faustiano che tiene al governo Berlusconi, per avere il “secondo miracolo italiano”, ora scoprono che nei patti col diavolo, alla fine, il solo che ci guadagna e’ sempre e solo il diavolo. E sappiano costoro che, come nel ripensamento goethiano di Berlioz, il diavolo non si dimosterà mai disponibile a sconti di pena. Molti ricorderanno (o forse no, perché come scrive Montanelli, gli “italiani sono smemorati”), la lettera che Josè Salamago scrisse il 6 giugno del 2009 a El Pais, in cui parlava de “la cosa Berlusconi”, quella cosa che "il popolo italiano ha eletto due volte per servirgli da modello”, instradandosi verso un cammino di rovina, in cui non esistono più i valori “di libertà e dignità che permearono la musica di Verdi e l’azione politica di Garibaldi: coloro che fecero dell’Italia del secolo XIX, durante la lotta per l’unità, una guida spirituale dell’Europa e degli europei”. Bene, in queste ore, anche l’idea residua che comunque Berlusconi di economia ci capisce ed è in grado, con Tremonti, di portarci fuori dalla crisi, bene e in fretta, è davvero totalmente vacilla.
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