Abbiamo capito in questi giorni di passi del gambero sulla manovra di Ferragosto quanto valgano le democrazie nel mondo globalizzato e quanto costi mantenerle. Se Cina India Brasile sono diventate superpotenze da far paura perfino agli Stati Uniti, se l’Europa si rivela debole dinanzi agli attacchi degli speculatori perchè incapace di decisioni impopolari, le ragioni dei regimi più forti vincono facile su quelle delle democrazie più avanzate.
Vogliamo forse affermare che staremmo meglio se governati da tiranni o da poteri assoluti? Niente affatto: abbiamo ripreso una celebre frase di Oscar Wilde per riflettere sul pericolo che gli eccessi di democrazia, che poi configurano il populismo, possano produrre un blocco di quelle benefiche spinte propulsive che rendono un popolo e quindi una nazione interessati al proprio progredire e alle conquiste più ardue.
I concetti ormai comunemente acquisiti che "lavorare stanca", che gli indicatori di civiltà di un Paese siano la quantità di automobili cellulari e televisori di cui dispone una famiglia media, e che la proliferazione dei diritti accompagnata dall’assenza di doveri sia sintomo del benessere generale, contribuiscono a far sprofondare il pil, a far emergere la parte peggiore dell’individuo, a far regredire la società.
Il Berlusca una volta disse che se avesse avuto il cinquantuno per cento dei voti avrebbe fatto le riforme necessarie a svecchiare il Paese: allora ci credevamo, oggi non più. Troppo molle nella sua azione di risanamento, anche lui paga il prezzo e disconosce il valore. Un vero uomo di Stato deve avere coraggio, e decidere guardando al futuro, non quello personale ma quello collettivo, e senza tentennamenti: anche una democrazia puo’ essere forte, se non mira alla forza bruta, ma alla forza delle idee e delle virtù del suo demos.
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