Era il momento che in tanti temevano e in tanti esorcizzavano, il tempo del pagamento per i debiti fatti, il tempo della fine della crescita drogata dal debito. Eccolo, come una mannaia, abbattersi sul nostro Paese il mostro tanto esorcizzato, ma altrettanto ingrassato con il passare degli anni. Il modo facile e assassino al tempo stesso che per anni ci ha fatto credere di crescere e produrre sviluppo e che invece, come un pitone, ci ha stretto addosso il suo corpo, sempre più grande, fino ad avvolgerci tutti e a strangolarci a poco a poco. Dire che lo avevo pronosticato tempo orsono non mi solleva neanche un po’, ma gridare forte il mio disappunto per scelte sciagurate fatte da ogni governo e da ogni colore politico, questo devo farlo. Forte e deciso come la mannaia che ci sta colpendo. Una vulnerabilità creata da noi stessi per tenere alto il nostro tenore di vita e standard sociali (pensioni, statali, politica) per puri scopi politici e niente di più. Colpe ne hanno in tanti, soprattutto la politica dal ’92 ad oggi, ma anche sindacati con le loro pretese assistenzialistiche a tutti i costi, oppure le imprese che vivono ancora nel loro piccolo mondo e poco incline ad aprirsi.
E poi tutti noi, certo, anche noi abbiamo una parte della colpa, chiedendo sempre di più al nostro Paese sapendo bene del suo stato di indebitamento, eppure non ci siamo fatti scrupoli nel contrastare il naturale innalzamento dell’età pensionabile, oppure l’ampio ricorso ad ogni sorta di pensione, invalidità o qualunque altro strumento che ci facesse vivere a spese di tutti. Eccolo il risultato: un paese che sta morendo a causa del cancro che lui stesso ha creato, e che ora bisogna curare con metodi invasivi e duri. Giusti, anche se tardivi, e forse non abbastanza forti, ma da perseguire con altrettanti incisivi piani di crescita. Solo questa è la medicina da prendere, fino a quando sarà necessario, cioè almeno fino al raggiungimento del 100% del rapporto deficit/PIL. E cominciamo a parlare seriamente degli errori fatti con nomi e date, e non dando la colpa a chi si è trovato (per sua responsabilità) col cerino quasi spento fra le mani, perché nell’ampio calderone della crisi mondiale siamo stati trainati dalla nostra incapacità di dare risposte, incominciando dai fatti.
La prima volta che il rapporto deficit/PIL superò il 100% fu nel 1992 con i governi Andreotti e Amato. Quest’ultimo ora in giro a dispensare consigli economici. Da allora il deficit non è mai sceso sotto la soglia del 100%. Quando Berlusconi entrò in politica il 10 maggio del 1994, il deficit era già al 120%, per poi scendere fino al 103% con i vari governicchi D’Alema-Amato-Prodi1, ma figlia solo del PIL che cresceva oltre il 3% sull’onda del miracolo americano. Niente riforme strutturali per ridurlo, anzi politiche d’ampliamento della spesa, come il mostro dello stipendio agli ex parlamentari. Un crescendo di spesa e debito che ora non è più sostenibile visto la bassa crescita dell’Italia, dell’Europa e dell’intero mondo occidentale. E Berlusconi ha la possibilità, visto le strane pressioni esterne, di accelerare sul cammino delle riforme liberali su cui aveva fondato Forza Italia ancor prima del Popolo della Libertà, ma che per colpe evidenti non ha mai fatto, anzi continuando nel percorso dei suoi colpevoli predecessori.
L’ulteriore colpo di grazia è stato l’euro, per come è oggi. Una moneta forte per una comunità debole che fa bene solo alla Germania, e che distrugge le economie degli altri Stati membri, Francia compresa, che in preda all’onnipotenza di Sarkozy non vede la canna del fucile puntata alla sua testa. Pronta a sparare quando gli altri saranno morti. Ma questa è un’altra storia.
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