Lotta tenacemente, com’è nella sua natura, Nelson Mandela, con la famiglia che sta esaminando la possibilità di staccare la macchina che lo mantiene in vita. Una vita lunga e difficile la sua, con la prigione e le torture e poi, un mese fa, le nipoti protagoniste di un reality show e le figlie che gli hanno fatto causa per accaparrarsi il patrimonio, con l’intenzione di ribaltare una sentenza del 2004 con la quale Mandela le aveva escluse dalla gestione delle sue attivita’, in una vicenda resa ancora piu’ intricata dal fatto che a difenderle nella causa contro l’ex premio Nobel della Pace e’ l’avvocato Ismail Ayob, noto difensore degli attivisti anti-apartheid, ma soprattutto ex vecchio amico di Mandela che lui stesso, pero’, otto anni fa, aveva estromesso dalla gestione dei suoi affari per il sospetto che avesse venduto alcuni suoi quadri senza autorizzazione.
Il 22 il maggio si era aperta e chiusa, per mancanza di compratori, l’asta dei beni della seconda moglie Winnie, messi all’incanto per coprire il debito contratto per pagare una scuola privata frequentata da un pronipote di Mandela, una vicenda incresciosa che ha aumentato nel vecchio patriarca l’angoscia iniziata con la morte per AIDS del figlio, avvenuta nel 2005 ed in Paese in cui di questo terribile morbo muoiono ancora 600 persone al giorno, con il delfino, l’attuale presidente Thabo Mbeki, che sino al 2004 metteva in dubbio il legame tra l’Hiv e l’Aids, mentre il suo ministro della Sanità per molto tempo ha consigliato di curare il malanno con le erbe della savana, al limite con i limoni. Nessun Paese ha tanti malati e sieropositivi: 5 milioni (in gran parte donne) che fanno del Sudafrica per l’Aids la serra più accogliente che ha dimezzato nel 2010 le aspettative di vita da 68 a 36 anni, con seicento fantasmi, ogni giorno, da seppellire in silenzio. E le famiglie che nel Kwazulu a volte cacciano i malati e li mandano a morire nelle coltivazioni di canna da zucchero.
Nel 1990, su pressioni internazionali e poiché al regime segregazionista era stato tolto l’appoggio degli Stati Uniti, Mandela venne liberato e, nel ’91, eletto presidente dell’Anc. Due anni dopo fu insignito, insieme con De Klerk, del Premio Nobel per la Pace ed eletto, nel 1994, nel corso delle prime elezioni libere, presidente della Repubblica del Sudafrica. Dal suo ritiro, nel ’99, si è impegnato nella lotta contro l’Aids, ma nonostante il vigore e l’impegno la sua è una battaglia che pare proprio fallita.
Mandela lascia una Nazione piena di contraddizioni: dopo la contrazione dell’1,8% registrata nel 2009, nel primo semestre 2010, l’economia sudafricana registrò un incremento del 2,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con tassi parimenti positivi anche in questi ultimi anni. Eppure il Paese deve fare ancora i conti con un notevole tasso di criminalità, uno dei più alti al mondo, con, secondo il rapporto annuale della Polizia, nel biennio 2008-2009 circa 2,1 milioni di casi di criminalità. Di questi un terzo sono stati crimini contro la persona: più di 18.000 omicidi (una media giornaliera di 50 omicidi al giorno), 71.500 violenze sessuali e 121.000 furti con gravi conseguenze. Col passare degli anni le statistiche non sono migliorate e anche oggi la maggior parte dei crimini avviene nelle grandi città: Durban, Città del Capo, Pretoria e infine Johannesburg, che detiene il triste primato. Il fenomeno è cresciuto esponenzialmente ed il governo si è visto costretto ad istituire, nel 2007, un “Centro per gli studi sulla violenza e riconciliazione”, necessario ad intraprendere uno studio sulla natura dei crimini, ma che, in 5 anni, non sembra aver condotto alcuna concreta azione di freno.
Inoltre, secondo il World Economic Forum del 2009, su una classifica mondiale di 134 Paesi, il Sudafrica si presenta al 110° posto nella scala di qualità del sistema d’istruzione (il 104° se il dato si limita alla scuola primaria) e metà degli studenti della scuola secondaria lasciano i corsi prima dell’esame finale e solo il 15% riceve un voto sufficiente per poter accedere all’università. Un aspetto riguardante questo comparto e che merita di essere osservato è relativo ai passi in avanti fatti nella riduzione delle disparità tra bianchi e neri: nel 2007 il 42% delle lauree erano conseguite da bianchi, mentre secondo uno studio del “South African Institute for Race Relations” del 2011 il numero dei laureati di colore negli ultimi vent’anni è più che quadruplicato. Eppure tale aspetto, pur promettente, non appare così eclatante se rapportato alla percentuale che la popolazione bianca rappresenta nel Paese: appena il 13%. Al riguardo è doveroso ricordare come, in seguito al regime dell’apartheid, lo Stato abbia investito per ogni bambino bianco sedici volte di più rispetto ad uno nero, per un periodo che va dal 1960 al 1994.
Mandela ha lottato, ha sofferto e ha trionfato come leader della comunità nera, prima, e di tutto un paese, poi, un uomo che dopo 27 anni di carcere passati a spaccare pietre, ce l’ha fatta a realizzare il suo sogno: un Sudafrica libero dalla discriminazione razziale (apartheid), dove bianchi e neri possono convivere e prosperare pacificamente. Ma ora, anche se vi si sono svolti i mondiali di calcio nel 2010 (dopo quelli di rugby del ’95) e l’economia marcia come un treno, il Sudafrica resta un paese dalle mille contraddizioni e dalle disparità sociali e razziali che non sono ancora sparite del tutto e che lui non ha più il tempo di correggere ed appianare.
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