Il cielo sopra Genova resta plumbeo: un manto funebre che ancora gronda pioggia, che va a mescolarsi alle lacrime di una città in ginocchio. L’uomo è un fuscello di fronte alla natura ed è immemore, scioccamente malaccorto, capace di consolarsi pensando che le alluvioni sono eventi eccezionali, ignorando che, invece, con il suo fare sprovveduto, le ha rese eventi frequenti e normali. Sei corpi di donna, gonfi come accade agli affogati, sono sdraiati su un marciapiede, di fronte ad un elegante edificio residenziale, dove sono stati intrappolati ed uccisi da un mostro di acqua e di fango, un gorgo invincibile e omicida, contro cui neanche la loro casa ha potuto far nulla. Quattro madri e due bimbe (una avrebbe avuto un anno il mese prossimo), con i padri e i mariti che piangono, sommessamente, tentando inutilmente di ridestarli.
Il cielo è nero come l’ala di un corvo e cupo, come cupi sono i cuori dei cittadini, che si guardano attoniti e si chiedono di chi sono le responsabilità per un disastro annunciato, uno dei tanti in un’Italia in cui più nulla sembra funzionare. Cementificazione ed espianti, in un’area sotto le colline, esposta fra le montagne e il mare, in una città cresciuta fra fatti nobili ed ignobili, come tutta la Nazione, ignorando il territorio in ogni programma, di destra e sinistra, negli ultimi decenni. Il cielo è senza luce, sopra a Genova, come sono privi di luce gli occhi dei suoi abitanti, giovani e vecchi, con una vita spezzata in un istante, sepolta sotto fiumi improvvisi, che ne hanno cancellato beni e speranze. Rivedo gli stessi sguardi dei miei concittadini e di me stesso, riflesso in specchi fratumati, a distanza di quasi tre anni, alle prese con una esistenza che è difficile rimettere a posto, con una fatalità che è difficile da digerire, soprattutto perché poteva essere anticipata, evitata o almeno mitigata.
L’assessore alla protezione civile del Comune di Genova, Francesco Scidone, ha detto che si è in attesa di una seconda ondata e che prosegue lo stato di "allerta 2" fino alle 18 di domenica, con pericolo di allagamenti anche in altre aree della città, oltre a quelle di Quezzi e Marassi, le più colpite dall’esondazione del rio Fereggiano e del torrente Bisagno. Ieri, in via Fereggiano, epicentro del disastro, è crollato un lungo tratto del muraglione che costeggiava il torrente e chissà, fra oggi e domani, quali altri crolli e tragedie avverranno. Ma siamo impotenti e soprattutto, ci sentiamo non responsabili. Non si sente in alcuno modo responsabile la sindaca Marta Vincenzi, neanche quando i cittadini gli urlano contro: “Vergogna, vergogna, vattene a casa, dimissioni. Qui non sei su Facebook, qui siamo nel tempo reale". Una rabbia incontrollata che investe tutto il Bel Paese, quello stesso che, secondo Berlusconi, non è in crisi, perché “i ristoranti sono pieni” e si “hanno difficoltà a prenotare un aereo”. Mah.
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