Veleni e polemiche tornano a scuotere il palazzo di giustizia di Palermo che si spacca stavolta sull’indagine piu’ importante dell’ultimo periodo: quella sulla trattativa tra mafia e Stato. Un’inchiesta lunga quattro anni, anticipata da decine di fughe di notizie che ne hanno svelato nei mesi i dettagli, chiusa nelle scorse ore senza il ‘benestare’ del capo della Procura Francesco Messineo. Manca la sua firma sotto l’atto di conclusione delle indagini notificato a 12 persone, ex ministri come Nicola Mancino e Calogero Mannino, alti ufficiali dell’Arma, l’ex supertestimone Massimo Ciancimino, politici come il senatore Marcello Dell’Utri, presunto mediatore fino al Governo Berlusconi tra cosche e Stato, e capimafia storici, accusati di avere stretto un patto fatto di concessioni e aperture reciproche.
Che Messineo non ci avrebbe messo la faccia era nell’aria da settimane. Nonostante avesse partecipato ai principali atti istruttori. Ma l’inchiesta ha avuto un’accelerazione negli ultimi giorni e il capo della Procura ha dovuto prendere una decisione. ‘Il mio visto su un avviso di conclusione di indagine non e’ obbligatorio come accade invece per le richieste di misura cautelare. Ne’ avevo l’obbligo di firmare l’atto non essendo coassegnatario del fascicolo. E comunque la richiesta di rinvio a giudizio non e’ stata ancora fatta’ spiega, cercando di smorzare le polemiche. Una replica giudicata in Procura ‘solo formale’, che certo non fa piacere ai titolari dell’inchiesta, l’aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene.
Al di la’ delle parole e’ chiara la presa di distanza del capo dell’ufficio assunta non a caso, fanno notare polemici alcuni magistrati, proprio alla vigilia del plenum del Csm che dovra’ decidere sulla sua eventuale nomina a Procuratore Generale di Palermo. Ma sotto l’atto con cui i pm ricostruiscono anni di ‘dialogo’ tra pezzi delle istituzioni, preoccupate di fare cessare la stagione delle stragi e boss, tesi a smorzare i rigori del carcere duro e assicurare l’impunita’ al capo dei capi Bernardo Provenzano, manca anche un’altra firma: quella del sostituto Paolo Guido. ‘Non entro nel merito della vicenda e non ho dichiarazioni da fare, ma resto convinto della mia scelta’, dice il magistrato che, al termine di un’indagine di 4 anni, sarebbe giunto a conclusioni diverse dai colleghi, non ritenendo che l’impianto probatorio costruito fosse idoneo a sostenere l’accusa in un processo.
I pm hanno ora 20 giorni – termine entro il quale i 12 indagati possono depositare memorie e chiedere di essere interrogati – prima dell’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Restano in silenzio boss ed ex vertici del Ros come Antonio Subranni e Mario Mori, – per il pm Ingroia regista del piano come l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi, morto nel frattempo – accusati di violenza e minaccia a Corpo politico dello Stato. Mentre ‘insorgono’ gli imputati ‘eccellenti’.
Da Mancino, indagato per falsa testimonianza, a Mannino, anche lui accusato di minaccia a Corpo politico dello Stato. Entrambi respingono ogni contestazione e rivendicano il ruolo avuto nella lotta alla mafia, Mannino, si dice ‘indignato’, forte anche di un’assoluzione definitiva dall’accusa di concorso in associazione mafiosa.
Discussione su questo articolo