Alla fine Grillo ha inghiottito Conte. O almeno ci ha provato, in attesa delle mosse di quest’ultimo. A seguito della conferenza stampa dell’ex premier tenutasi ieri l’altro alla Camera di Commercio di Roma, in cui si chiedeva sostanzialmente al fondatore del M5S di prendere atto dei mutamenti politici ed istituzionali a seguito dei suoi due Governi (vantando anche di aver favorito il successivo insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi), e di scegliere se essere un “padre generoso” o un “padre padrone”, il garante non ha avuto dubbi: manda in soffitta Conte, riabbraccia Davide Casaleggio ed indice una votazione sulla tanto vituperata Piattaforma Rousseau per istituire un non meglio specificato “Comitato direttivo”.
Conte “licenziato”
E fu così che il giurista raffinato, l’avvocato del Popolo, il meglio del meglio, colui che fu chiamato appositamente da Beppe Grillo per “rifondare il Movimento Cinquestelle”, viene mandato via a calci nel di dietro accompagnato da frasi di questo tenore: “Non ha né visione politica, né capacità manageriali”. Il pulpito è un tutto dire, ma in soldoni: Conte, non sei (più) nessuno.
Forse è vero che Conte non era nessuno, questo fino ad appena tre anni addietro. Ma oggi Conte non è più quello di tre anni fa. Ha provato, riuscendoci, a trasportare non senza travaglio il Movimento Cinquestelle nell’alveo del campo progressista del Paese, rendendolo capace di dialogare con il Pd alla pari, proponendo un campo largo che diversamente – con alla guida Luigi Di Maio, o ancor peggio Alessandro Di Battista – non avrebbe mai potuto vedere la luce.
Uno che è riuscito a suo modo ad addomesticare Matteo Salvini quando quest’ultimo era suo vice, riuscendone a parare i colpi quando poi il Governo diventò giallo-rosso anziché giallo-verde. Uno che, come ha opportunamente fatto notare il collega Valerio Musumeci, ha resistito al colpo ricevuto da Matteo Renzi quando solo qualche mese fa gli preferì Mario Draghi a Palazzo Chigi; ha gestito bene o male i dossier Ilva, Autostrade ed Alitalia, ha iniziato il lavoro che poi l’attuale Esecutivo ha raccolto, vale a dire il processo attraverso cui si è arrivati ad ottenere il più grande finanziamento europeo nella storia del nostro Paese. Ha gestito il non facile divorzio politico da Casaleggio Associati: un divorzio propedeutico ad una illuminata e giusta autonomia del Movimento da soggetti terzi ed esterni al Movimento stesso. Tutte cose che evidentemente a Grillo non sono andate giù, tanto da aver definito il suo lavoro di studio, approfondimento ed infine di stesura di un nuovo Statuto del M5S come un lavoro “seicentesco”. Della serie: niente vecchiume, il “visionario” sono io. Parole proprio di Grillo.
E adesso si scelga da che parte stare
Giuseppe Conte avrebbe voluto semplicemente mettere ordine all’interno di un partito nato da un “vaffanculo” pronunciato a microfoni aperti in una piazza oltre dieci anni fa, partito divenuto poi forza di Governo e dunque bisognoso di indispensabili correttivi.
La “leadership dimezzata”, come l’ha definita Conte in conferenza stampa, era e continua ad essere chiaro che non fosse più tollerabile. Perché questo Grillo vuole: dei cosiddetti prestanome calati dall’alto cui far gestire il suo giocattolo post-ideologico, il suo “fantasy-partito”. Non era quello che desiderava Conte, non era quello che volevano tantissimi dirigenti ed eletti Cinquestelle e con ogni probabilità non era neanche quello che desideravano e desiderano gli avversari degli stessi pentastellati, che speravano di ritrovarsi ad interloquire con una forza finalmente matura, che ambisse ad una stabilità politica interna seria e duratura.
E invece no: comanda sempre lui, con i metodi di sempre, con l’inconcludenza di sempre. E si riparte portando indietro l’orologio: con un “vaffanculo” è nato questo partito e con un altro “vaffanculo” prosegue: il primo fu rivolto alle Istituzioni costituite, ai politici di ogni ordine e grado, a tutti. Il secondo, quello di oggi, rivolto a chi con moderazione e garbo aveva pensato (invitato a farlo, precisiamo) di rimodernare e ristrutturare quella forza politica che in tanti desideravano diventasse tale: al passo coi tempi ma soprattutto democratica. Non sarà così, evidentemente.
Adesso spetta agli eletti, ai parlamentari, ai consiglieri regionali, ai tanti sindaci e consiglieri comunali decidere il futuro, da che parte stare. Se stare dalla parte del turpiloquio perenne (dunque dalla parte dell’irrilevanza perenne, in Italia e in Europa) o dalla parte della ragione.