L’economia europea è stagnante da anni, e la maggiore preoccupazione della BCE sembra che sia la troppo bassa inflazione. Altro che preoccupazione, la bassa inflazione dovrebbe essere considerata una vera benedizione! O forse ci sono apprendisti stregoni che rimpiangono i tempi dell’inflazione annuale a due cifre, che decurtava spietatamente tutti i salari e le pensioni, e con la quale si arricchivano solo le banche?
I problemi dell’Europa non si risolvono usando il bilancino delle microvariazioni, in più o in meno, dei tassi di sconto e dei rendimenti obbligazionari. E il Quantitative Easing se lo stanno mangiando il welfare state, le spese improduttive e le stesse banche, e non sta incentivando i consumatori, perchè, come si sa, puoi portare il cavallo alla fonte, ma non puoi obbligarlo a bere.
I nostri governanti si preoccupano soprattutto di garantirsi i voti in un’ottica a breve termine, e intanto non si sono mai posti il problema di dove diavolo siano andati a finire i milioni di posti di lavoro persi in Europa (più in Italia e meno in Germania, naturalmente, ma questo merita un altro discorso).
La risposta è che, proprio all’inizio del nuovo secolo, con l’apertura incontrollata delle frontiere commerciali mondiali e l’entrata della Cina nel WTO, si è verificato un gigantesco e storicamente mai visto spostamento di produzioni industriali e di flussi commerciali, che da noi ha fatto svanire milioni di posti di lavoro ed ha schiacciato verso il basso i salari di quelli restanti, mentre a milioni se ne creavano nei cosiddetti paesi emergenti dell’Estremo Oriente.
O vogliano credere che l’esplosione del PIL della Cina e la costruzione in poco più di vent’anni di migliaia di grattacieli nelle loro rinnovate città, si debbano solo all’abbandono dell’economia comunista? Si sono realizzate grazie soprattutto alle rimesse finanziarie, che continuano ad affluire ogni volta che una portacontainer, carica di loro prodotti, salpa dai loro porti per far rotta verso Rotterdam o Gioia Tauro. Loro sono cresciuti al ritmo del dieci percento, e noi regrediti all’uno o allo zero virgola.
Non vogliamo patrocinare un anacronistico protezionismo, così come non pensiamo che si possano chiudere ermeticamente le frontiere. Ma, in campo economico, riteniamo che si sarebbe dovuta attuare una maggiore gradualità, al fine di adeguare le economie e le condizioni di lavoro, compresa la convergenza sui diritti umani. E questo avrebbe dovuto svolgersi su un arco di tempo molto più lungo. Avendone la volontà, qualcosa al rispetto si potrebbe ancora correggere.
Nei riguardi dell’immigrazione, che alcuni, tra cui per nostra disgrazia anche il Papa, chiedono di non limitare, abbiamo tutto il diritto, senza essere accusati di xenofobia, di fissare dei limiti precisi, secondo le nostre reali esigenze e le concrete possibilità di accoglienza.
Vorremmo che si considerasse che, a parte le poche migliaia di veri rifugiati politici, i milioni di extracomunitari che dall’Africa e dal Medioriente premono per imbarcarsi sui barconi, provengono da paesi di vasta estensione territoriale e ricchi di risorse, e riteniamo che sia legittimo chiedere che queste popolazioni si dedichino con maggiore responsabilità a risolvere i propri problemi, magari impegnando in questo compito più generazioni, dal momento che da noi, per costruire il nostro relativo benessere e le nostre città, di generazioni ne sono servite una lunga successione, e con vicende anche molto dolorose.
La perdita dei posti di lavoro, avvenuta in Europa dall’inizio del secolo, e il contemporaneo arrivo di milioni di extracomunitari, di difficile se non impossibile integrazione, sono due fattori che (come scrivevamo già molti anni fa) stanno incrinando la coesione sociale e spiegano la crescita dei partiti che rifiutano questa Europa. Noi riteniamo che l’errore non sia l’Europa, ma le politiche dei governanti e di coloro che, perfino quando assegnano i Nobel e i premi dei festival del cinema e delle canzoni, vogliono imporre le loro unilaterali visioni.
Discussione su questo articolo