Voglio confessarlo: da quando si ventilò l’ipotesi che Mario Draghi potesse essere chiamato dal presidente Sergio Mattarella a guidare un nuovo governo italiano feci da subito il tifo per lui. La mia unica paura, allora, era che non accettasse, considerata la pochezza della classe politica rappresentata in Parlamento, la stessa che doveva votargli la fiducia e far passare i provvedimenti che avrebbe inteso prendere. Pensavo che Draghi fosse l’unico che poteva vantare una solida preparazione economica rispettata a livello internazionale, una forte personalità e un prestigio indiscusso acquisito durante la sua presidenza della Banca Centrale Europea. I suoi primi passi da presidente del Consiglio mi avevano convinto che il nostro Paese si stesse finalmente mettendo sulla strada giusta. Solo la sua personale credibilità poteva convincere i partner europei che l’Italia avrebbe potuto mettere veramente a frutto gli eventuali fondi che Bruxelles si era convinta a erogare agli Stati membri in difficoltà per il Covid-19.
Nel suo discorso d’insediamento ci furono due affermazioni che definivano quale sarebbe stata la sua politica estera: atlantismo ed europeismo. Come non essere in sintonia con lui? E’ pur vero che la nostra alleanza con gli USA e la nostra presenza nella NATO non ci vedono mai agire da protagonisti e il nostro ruolo è soltanto quello di “portatori d’acqua” (per di più, poca). Eppure è lo stesso per tutti gli altri membri della NATO, e perfino per gli inglesi, che restano pur sempre militarmente i più efficienti dopo gli americani.
Essere atlantisti è una convenienza e una necessità. Fino ad oggi è stata la sicurezza di poter contare per la nostra difesa sull’ombrello americano ciò che ci ha consentito di spendere cifre da miseria nei nostri apparati bellici e usare quel denaro per allargare il nostro welfare. Non possiamo né dobbiamo nasconderci che durante la Guerra fredda, e nonostante la presenza di un forte Partito Comunista per lunghi anni suddito di Mosca, la libertà e la democrazia (quella vera, non le “democrature”) ci sono state garantite. Certamente abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni aspetti della nostra sovranità, ma in cambio abbiamo anche potuto contare sul mercato statunitense per vendere i prodotti di molte nostre aziende. E, per noi che siamo un paese di trasformazione, anche la globalizzazione, voluta proprio da loro, per lungo tempo (e in parte ancora oggi) ci ha fatto comodo. Anche ai nostri giorni, se non facessimo parte della NATO e non godessimo dell’Articolo 5, in caso di attacco diretto contro di noi da qualunque parte provenga, non saremmo in grado di difenderci.
Tuttavia una cosa è capire i vantaggi indubbi di quest’alleanza e un’altra è distruggere la nostra economia per ubbidire agli ordini del partner più forte. Pur essendo e continuando a essere partner della NATO, quando gli interessi americani dimostrano di essere addirittura contrari ai nostri, è un dovere di ogni nostro governante porre delle obiezioni e opporsi. L’hanno fatto i francesi e i tedeschi nel caso della guerra contro l’Iraq e lo fa continuamente la Turchia. Eppure la loro presenza nell’Alleanza non è stata messa in discussione. D’altra parte anche tra gli stessi membri, a volte, gli interessi confliggono, e lo abbiamo dovuto riscontrare in Libia con i francesi (e americani) e nelle acque cipriote con i turchi. Frequentemente con i tedeschi.
La crisi ucraina è l’esempio più clamoroso di come gli interessi degli Usa confliggano totalmente con i nostri. E’ dall’inizio del secolo scorso che, dapprima gli inglesi e poi gli americani, hanno fatto di tutto per impedire una qualche forma di collaborazione stretta e di vicinanza politica tra l’Europa (in primis la Germania) e la Russia. Quando esisteva l’Unione Sovietica qualcosa di più di semplici scambi commerciali e l’acquisto di gas e petrolio erano impossibili, perché la volontà espansionistica della Mosca di allora suggeriva di non passare certi limiti. Tuttavia, pur bloccando attraverso il COCOM la cessione di tecnologie avanzate, gli interscambi persistevano e ciò ha anche aiutato a facilitare il crollo di quel sistema per noi nemico. La Russia di oggi ha abbandonato definitivamente quello che fu il loro “apostolato” comunista e nessuno può sostenere che Vladimir Putin, o chi per lui, voglia espandere il loro sistema (oggettivamente altro della nostra democrazia liberale) a Paesi terzi. Al contrario ci sono state evidenze nel corso di questi anni passati nei quali erano sempre più numerosi i russi che guardavano all’Europa e agli Stati Uniti come un modello cui avvicinarsi. Come risposta gli USA hanno continuato a umiliare la Russia per deprivarla di ogni ruolo importante a livello internazionale e per indebolirla all’interno. Le varie “rivoluzioni colorate”, la guerra contro la Serbia con un pretesto, il sostegno a improvvisati leader alternativi ai leader ufficiali (vedi Navalny e non solo), la criminalizzazione dell’élite russa in genere, l’allargamento della NATO sino ai suoi confini e anche agli Stati ex-sovietici, sono fatti che hanno portato il Cremlino a prendere atto che la strada di una qualche integrazione con l’occidente era impedita. Non si venga a dire che Putin abbia in testa di voler ricostruire i confini dell’Unione Sovietica: chiunque conosce qualcosa di politica internazionale sa che questa ipotesi è solo frutto di una stupida e improvvida propaganda. A Mosca tutti hanno ben chiaro che non converrebbe né politicamente né economicamente. Lì pensano che sia molto meglio lasciarli indipendenti, e ove possibile stringere alleanze (la Russia resterebbe comunque il partner più forte) in modo da garantirsi almeno degli Stati cuscinetto. Di certo, ognuno persegue il proprio interesse, e esattamente come fanno tutti gli Stati forti (vedi gli stessi USA), si cerca di trovare più amici possibili e penalizzare i nemici. Quanto all’ipotesi che la Russia si stia preparando a invadere Polonia e Paesi Baltici, è una vera e propria idiozia, falsa e diffusa con malafede. Questi Paesi oramai sono membri della NATO e a Mosca è ben conosciuta la clausola dell’Articolo 5 che prevede l’intervento di tutta l’Alleanza qualora uno solo dei membri fosse aggredito da forze esterne. La forza militare della Russia di oggi ha sì le armi nucleari, ma il suo uso non può essere che l’estrema ratio, pena la distruzione reciproca. In una guerra convenzionale le capacità belliche dell’Orso sono infinitamente inferiori a quelle della NATO e così è per la sua economia. Anche se si vorrebbe pensare diversamente, né Putin né i suoi sodali sono sciocchi o masochisti e mai arrischierebbero una guerra diretta contro l’occidente. E perché poi farlo?
Noi piuttosto, visto i nostri principi liberal-democratici di rispetto per le minoranze, come possiamo tollerare che in Lettonia le persone di madrelingua russa (25%), definite “non cittadini”, non possano votare, né ricoprire cariche pubbliche o esercitare alcune professioni? E che in Ucraina, dove gli individui di madrelingua russa rappresentano il 30-35% della popolazione, non sia loro permesso di esprimersi nel loro idioma nei media e in ogni atto pubblico, venendo discriminati e penalizzati quali cittadini di serie B?
Torniamo però a Draghi. Perché non ci spiega esplicitamente quale sia l’interesse del nostro Paese nel co-belligerare con l’Ucraina contro la Russia? Perché mandiamo a Kiev armi? Perché assecondiamo le manovre americane cominciate all’inizio del Duemila miranti a far rompere all’Ucraina ogni legame con la Russia? Perché obbediamo alla volontà americana di imporre sanzioni a Mosca? Non ci si dica che è una lotta della democrazia contro l’autoritarismo, perché se è vero che al Cremlino non hanno adottato il nostro sistema liberal democratico, lo stesso si può dire per l’Ucraina. E pure per l’Arabia Saudita, tuttavia nostro alleato (che tra l’altro stiamo mantenendo tale nonostante le porcherie che sta commettendo nello Yemen). E così per la Turchia. Draghi non aveva pubblicamente dichiarato Erdogan un “dittatore”? Ma per convenienza dobbiamo comunque collaborare con lui? E che dire della Polonia, ove la magistratura non è indipendente, il diritto di riunione è limitato, i media controllati, gli omosessuali penalizzati e l’aborto criminalizzato in ogni caso? Oppure dell’Ungheria? Dove sta il confine del “fronte democratico”?
Forse siamo contro la Russia perché ha invaso un Paese indipendente? A parte che, visto che sono gli americani a “suggerire” i membri del governo, di quale indipendenza si parli non è chiaro, nessuno fece le stesse accuse ai nostri amici di Oltreoceano quando invasero l’Iraq senza mandato dell’ONU o bombardarono la Serbia, anche lì senza alcun mandato? Che dire dei turchi, che sono sconfinati in Siria e che quasi ogni settimana usano le armi del loro esercito nell’Iraq del nord?
Non si parli nemmeno di “genocidio” in corso in Ucraina, perché se veramente i russi avessero davvero voluto commettere quell’abominio, non sarebbero mancati loro i bombardieri per radere al suolo il centro di tutte le città ucraine e fare davvero delle stragi. Non sa forse Draghi che Joe Biden, conscio di mentire, è ricorso a quel termine perché in questo modo la presidenza può prendere qualunque decisione d’intervento senza dover aspettare il via libera del Congresso?
Può Draghi spiegarci perché dovremmo prenderci, come lui ha sostenuto pubblicamente, la malandata e corrotta Ucraina nella UE? Bruxelles (e noi) ha soldi che crescono dai bilanci per gettarli nelle fauci anelanti degli oligarchi di Kiev? Qual è il motivo economico, o almeno politico, per cui dovremmo caricare sulle spalle delle nostre malandate economie un Paese povero (e ancor più impoverito dopo questa guerra) di più di 40 milioni di abitanti? Giustamente il ministro degli Esteri austriaco gli ha ricordato che altri sono i Paesi che dovrebbero avere la precedenza.
Ancora: può dirci Draghi perché ha concordato con l’Europa di “congelare” i beni (case e yacht) dei ricconi russi in Italia? Quanto costerà e chi dovrà pagare la custodia di questi beni? Chi indennizzerà, e come, tutti quei lavoratori italiani che, direttamente o nell’indotto, lavoravano per questi “criminali”? L’operazione “congelamento” è stata fatta in base alla legge anti-terrorismo. Poiché saranno ipotizzabili ricorsi e sarà ben difficile associare gli oziosi russi a operazioni terroristiche, chi pagherà loro i danni che avranno subito nel frattempo quando i nostri tribunali daranno loro ragione? E inoltre, come spiega l’invito fatto alle nostre banche nazionali di congelare anche i conti correnti di cittadini italiani (nati russi) che hanno mantenuto pure la nazionalità originaria russa?
Forse sarebbe meglio indirizzare queste domande a Washington piuttosto che a Roma, ma in questo caso la risposta la conosciamo. Draghi dovrebbe allora spiegarci perché è così ligio ai diktat d’Oltreoceano. Comunque, diciamocelo, tutti i problemi sopra enunciati in fin dei conti sono solo bagatelle!
I problemi veri riguardano le conseguenze sulla nostra economia dall’aver scelto di assecondare ciecamente gli interessi altrui. Nel frattempo l’economia americana prospera, e quella europea s’incammina verso l’auto-distruzione. Dopo le sofferenze causate dai fermi imposti dal Covid-19, sembrava che tutto potesse ripartire e l’ottimismo stava tornando. Non voglio fare dietrologie e incoraggiare chi ipotizza che ciò che accade sia stato voluto esattamente così proprio per fermare l’Europa. Non credo a “grandi fratelli” quasi onnipotenti. Sono però convinto che abbia ragione la ministra dell’Economia americana Janet Yellen, quando dice che le sanzioni contro la Russia danneggiano di più l’Europa della stessa Russia.
Il nostro Mario Draghi è un economista e non può non vedere le nostre aziende in sempre maggiore difficoltà, il numero dei disoccupati che a settembre esploderà, i bilanci delle famiglie più povere che non tireranno la fine del mese. Come si permette di dire, scendendo al livello di un qualsiasi Di Maio, che si deve scegliere tra un grado in meno di riscaldamento (o l’uso del condizionatore) e la pace? Se fosse necessario gli italiani possono sopportare anche dieci gradi in meno, ma il problema è il costo dell’energia per le aziende produttive. La smetta, lui e i suoi colleghi, di dirci che stiamo sostituendo il gas russo! Tutti sappiamo che per riuscirci ci vorranno almeno dai due ai quattro anni. E nemmeno ne possiamo essere certi. Invece di raccontarci fole, il dottor Draghi si legga l’interessante articolo scritto dall’ingegner Guido Possa su quale sia la vera situazione delle forniture e dei prezzi del gas in Italia. E non rincorra i fanatici che in nome di una molto discutibile “eticità” (e degli “ordini” di Zelensky) chiedono di interrompere immediatamente gli acquisti di gas e petrolio dalla Russia. Fortunatamente in Europa (magari in Germania) c’è ancora qualcuno che pensa con una testa europea e che mette in primo piano i nostri interessi e non quelli altrui.
Purtroppo, nello stesso momento in cui, mio malgrado, sono costretto a chiedermi se scegliere Draghi come presidente del Consiglio sia stata davvero la scelta giusta, devo costatare che in tutta la nostra classe politica la gara è a chi è più stolido o più disinformato. E possibilità migliori non ne vedo.
Non amo Putin e della Russia ammiro la cultura e non il sistema politico, ma proprio citando ciò che Draghi disse a proposito di Erdogan, penso che, dittatore o “democratore” che sia, è nostro interesse continuare ad avere rapporti con lui e non con la marionetta Zelensky, puro ventriloquo d’Oltreoceano.
*Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali