La popolarita’ di Barack Obama sprofonda nei sondaggi, raggiungendo quota 41%. Un dato eclatante che rappresenta il minimo storico, il punto piu’ basso in tutta la sua presidenza. Una debacle su cui pesa come un macigno il giudizio negativo di 2 americani su 3 sul tema della politica estera in generale e, in particolare, sulle scelte ‘low profile’ assunte dalla Casa Bianca nel corso della crisi ucraina. Si tratta di numeri talmente negativi da mettere in difficolta’ ulteriore il Partito Democratico, che ora vede come un incubo la sfida delle prossime elezioni di medio-termine di novembre.
Secondo un sondaggio a cura di Washington Post/Abc, il presidente è calato di 5 punti rispetto al già negativo 46% registrato nei primi tre mesi del 2014. Malgrado i buoni risultati sul fronte dell’occupazione, appena il 42% apprezza come sta gestendo l’economia, solo il 37% approva come sta lavorando all’implementazione della controversa riforma sanitaria. Ma va ancora peggio in politica estera. Qui, addirittura solo il 34% appoggia la sua condotta di fronte alla crisi ucraina. Un flop, a cui pero’ il presidente ha reagito con vigore, quasi con rabbia, da Manila, nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente filippino, Benigno Aquino III.
"La mia dottrina in politica estera – ha risposto a una domanda della Fox – non sara’ sexy, non e’ attraente, non fornisce argomenti ai dibattiti da talk show. Ma evitando errori, stiamo facendo gli interessi del popolo americano e dei nostri alleati in tutto il mondo". "C’e’ chi pensa che mandare piu’ armi all’Ucraina possa in qualche modo fermare l’esercito russo? Credo che chi lo pensa siano gli stessi che decisero di andare in Iraq, una scelta che considero tuttora disastrosa. E oggi non hanno imparato la lezione, e continuano con lo stesso giochino, sempre lo stesso". Parole dure, forse senza precedenti, che mostrano pero’ come per Obama le critiche alla sua politica estera vadano a toccare un nervo scoperto. Non si tratta solo di Ucraina.
La Casa Bianca deve oggi fronteggiare una sostanziale situazione di stallo in Medio Oriente, nei rapporti con l’Iran, sul fronte della crisi in Siria, per non parlare delle difficolta’ di gestire il fronte asiatico, in equilibrio tra le aperture alla Cina e l’esigenza di rassicurare gli alleati, dal Giappone alla Corea del Sud. "Non procediamo con interventi diretti solo perche’ qualcuno seduto in qualche ufficio di Washington o New York pensa che cosi’ facendo appariamo piu’ forti", ha incalzato Obama, aggiungendo che "se guardiamo ai risultati vediamo che negli ultimi 5 anni le nostre alleanze e le nostre partnership sono piu’ forti".
Inevitabile pero’ la preoccupazione dei democratici per i riflessi che un tracollo del rating di Obama puo’ avere sul voto di novembre. Del resto, in vista di una possibile conquista del Senato da parte dei repubblicani, la Casa Bianca cerca di correre ai ripari sul fronte delle nomine, accelerando quelle ai vertici delle corti federali. Obama vuole infatti lasciare un segno – nel suo caso di impronta liberale – che duri nel tempo e vada ben oltre il suo secondo mandato. Proprio come fecero Ronald Reagan e George W. Bush. E non c’e’ molto tempo: perche’ se il Grand Old Party ottiene la maggioranza al Senato, tutte le nomine presidenziali rischiano di essere definitivamente bloccate.
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