‘Vinciamo perche’ siamo ex schiavi’: nel giorno in cui il successo di Usain Bolt corona la gioia dell’Independence Day, la Giamaica e’ in delirio da Kingston a Londra. ‘Tra gli schiavi solo i piu’ forti sopravvivevano’, ha detto nell’euforia delle celebrazioni di Jamaica House Ian Foster, uno storico che negli archivi di Sir Hans Sloane, il collezionista britannico a cui si deve un ‘museo gioiello’ nel cuore di Londra, ha scoperto tracce dei suoi antenati.
Da Jamaica House al Puma Yard di Brick Lane, lo spazio temporaneo nel quartiere dei creativi dove si respira spirito giamaicano in onore del grande testimonial. E da Brick Lane all’Electric di Brixton, il quartiere multietnico a 15 chilometri dal parco olimpico dove il primo immigrato giamaicano approdo’ dopo la seconda guerra mondiale scendendo dalla nave Empire Windrush (un evento di significato nazionale ‘fermato’ nella cerimonia inaugurale di Danny Boyle) e dove vive ormai la piu vasta comunita’ giamaicana fuori da Kingston.
‘One Love’ di Bob Marley esce dagli altoparlanti del cavernoso locale quando arriva l’annuncio della doppietta di casa: l’oro a Usain e l’argento a Yohan Blake, con il povero Asafa Powell infortunato dopo la partenza altrimenti sarebbe potuto essere un tris di assi, che si aggiungono all’altro oro di Shelly-Ann Fraser-Pryce nei cento metri femminili.
‘Un’impresa meravigliosa’, ha commentato oltre l’oceano, a Kingston, la primo ministro Portia Simpson Miller che vorrebbe liberarsi una volta per tutte della Regina facendo uscire la Giamaica dal Commonwealth. Ma nelle Little Jamaica di Londra l’orgoglio per la madrepatria non ha sapore nazionalista. Semmai ci si interroga su cosa fa forti gli atleti del proprio paese e c’e’ chi evoca lo spirito dell’You Must Try, Try and Try’ del film The Harder they Come’ di Jimmy Cliff. Euforia verde, nero e oro. Altre centinaia si erano accalcati davanti ai maxischermi del Millennium Dome: ‘E’ il nostro sangue’, ha detto Sharon Thomas che aveva fatto una fila di ore per 9,63 secondi di brivido: ‘Una volta vincevano gli americani. Adesso siamo noi’.
L’uomo piu’ veloce del mondo va dal barbiere Maurice Smith per tosarsi la testa prima della premiazione e da’ interviste promettendo il terzo oro olimpico nei cento metri a Rio. Ma il sapore della sua vittoria si mescola all’orgoglio dei 50 anni di indipendenza, festeggiata con l’alzabandiera a Kingston come a sud del Tamigi. Ska, reggae, soul, pop perche’ la cultura afro-giamaicana ha utilizzato la musica come arma di resistenza. A Bolt Londra piace: ‘Felice di correre qui, e’ come una seconda patria con tutti questi connazionali’.
Discussione su questo articolo