In 150 mila sono rientrati dopo la chiusura delle attivita’ in cui erano impiegati. Ma una volta in Italia non hanno potuto nemmeno usufruire del reddito di cittadinanza: per loro valgono le stesse restrizioni che ci sono per gli stranieri. Come se la stanno passando gli italiani all’estero o rientrati durante la pandemia?
A fotografare la situazione e’ una ricerca dal titolo “Vecchia e nuova emigrazione italiana all’estero” realizzata dal Centro studi e ricerche Idos.
Finanziata dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e realizzata in partnership con il Circolo studi diplomatici, la ricerca contiene analisi ed elaborazioni inedite sull’argomento che saranno pubblicate a dicembre sulla rivista “Affari sociali internazionali”.
In particolare, il report prende in considerazione anche varie tipologie di italiani che vivono all’estero in via piu’ o meno temporanea e che mantengono ancora un rapporto molto stretto con la madrepatria.
Va ricordato che, con uno sforzo notevole, nei primi mesi della pandemia il governo ha rimpatriato, con voli umanitari e collegamenti via mare e via terra, oltre 100mila italiani da oltre 60 paesi esteri in cui si trovavano per motivi diversi (compreso il turismo).
I lavoratori e la crisi occupazionale
Gli italiani iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero (Aire) erano quasi 5,5 milioni nel 2019, oltre la meta’ dei quali “espatriati” soprattutto per lavoro; si tratta pero’ di un numero che sottostima il fenomeno, in quanto per moltissimi l’iscrizione all’Aire avviene dopo diversi anni di permanenza.
Secondo un sondaggio del Centro Altreitalie di Torino, gli emigrati giovani e piu’ integrati economicamente hanno retto bene le conseguenze della pandemia, continuando in gran parte a lavorare e in un caso su dieci fruendo anche degli ammortizzatori sociali in loco. Ma non sono pochi i connazionali rimasti senza stipendio.
Il Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie) stimava ad aprile che in pochi mesi sarebbero rientrati in Italia quasi 150mila lavoratori a causa della probabile chiusura delle loro piccole e medie imprese oltre confine, in particolare della ristorazione. I piu’ colpiti sono gli italiani di recente emigrazione (450 mila gli espatriati ufficiali negli ultimi 3 anni), meno integrati e piu’ propensi a tornare in patria.
Ma quali aiuti hanno trovato nel nostro Paese?
Paradossalmente, in caso di indigenza gli emigrati italiani di ritorno non possono fruire del reddito di cittadinanza: incappano infatti nella stessa barriera (il requisito della residenza continuativa di almeno 5 anni in Italia) creata per gli stranieri.
In compenso, grazie al decreto Rilancio, hanno potuto accedere al reddito di emergenza, purche’ abbiano ripreso la residenza italiana entro giugno.
Universitari e Erasmus
Secondo l’Unesco gli studenti universitari italiani all’estero all’inizio della pandemia erano 75.954, soprattutto in Regno Unito, Austria, Germania, Francia e Spagna. Non ci sono dati su quanti siano riusciti a tornare in Italia dal marzo scorso e quanti siano ripartiti dopo l’estate. È certo pero’ che molti sono stati bloccati dalle regole disposte da molte universita’, britanniche ma non solo, che in virtu’ del blended learning obbligano tuttora gli studenti a frequentare in presenza un giorno a settimana e a restare chiusi nelle proprie residenze per seguire le lezioni on line per il resto della settimana.
Erano invece 47 mila (fonte Indire) gli studenti italiani in Erasmus nell’ultimo semestre, soprattutto in Spagna, Francia e Germania. Anche per questi giovani il dilemma tra rimanere nelle citta’ ospitanti (esponendosi a contagio) o rientrare in Italia (sfruttando le opportunita’ offerte dalla didattica a distanza), e’ stato molto spesso collegato alle disponibilita’ economiche limitate e alle incertezze sul ritorno. Per il semestre in corso il programma Erasmus e’ sospeso.
Cooperanti e volontari
Sono oltre 3.000, secondo l’associazione delle Ong, i cooperanti e i volontari del servizio civile italiani che hanno deciso di continuare la missione all’estero, cioe’ in oltre 100 paesi esteri, soprattutto in Africa e America latina. Un numero largamente sottostimato secondo alcuni osservatori, in quanto non comprende i soggetti legati ad associazioni che non comunicano dati ad una unica fonte – come lo e’ Open cooperazione per le Ong piu’ grandi.
Un recente report proprio di Open Cooperazione ha mostrato come a causa della pandemia le Ong italiane nel 65% dei casi hanno bloccato o rimandato oltre il 50% della propria operativita’, mentre solo una organizzazione su dieci dichiara di non aver dovuto rallentare o interrompere gli interventi.
A causa del crollo della raccolta fondi il 37% ha scelto di usufruire della cassa integrazione straordinaria messa a disposizione dal decreto Cura Italia. Tuttavia, oltre la meta’ delle Ong non ha rimpatriato alcun cooperante, nel 30% dei casi sono stati rimpatriati solo alcuni cooperanti, mentre soltanto 16 organizzazioni hanno provveduto al rimpatrio di tutti i propri cooperanti espatriati.
I pensionati
Per una spesa annua di quasi un miliardo, sono circa 388 mila i pensionati italiani all’estero, soprattutto in Canada, Germania, Svizzera, Australia e Francia. Percepiscono per lo piu’ assegni molto bassi (in media 259 euro) avendo lavorato in Italia pochi anni prima di trasferirsi all’estero. Tra essi c’e’ pero’ una quota non trascurabile di connazionali anziani che hanno scelto di godersi la pensione in Paesi dove la vita e’ meno costosa. Sono in particolare i percettori di assegni mensili piu’ alti (spesso oltre 2.000 euro) che risiedono in paesi come Cipro, Malta, Emirati Arabi, Turchia e Portogallo. In quest’ultimo paese, nel 2019 ben il 33,9% dei nuovi residenti italiani aveva piu’ di 65 anni. L’Inps aveva avviato nei mesi scorsi una campagna di controlli volta a quantificare anche questo fenomeno, ma ha dovuto interromperla proprio a causa della pandemia. (DIRE)