Non c’è riforma pensionistica che tenga dinanzi allo sconcertante stato che affligge il mercato lavorativo italiano. Abbiamo da sempre avuto un Paese colmo di problemi, vizi atavici e con un cuneo fiscale esasperante, tuttavia l’iceberg dei martiri s’assottiglia sempre più a causa di una risicata fetta produttiva. Con una natalità decrescente, una età media di 43,8 anni ed una cartina sociale poco variegata (in genere è il maschio adulto a produrre reddito, donne, giovani ed anziani sono in eterna quiescenza) l’italico popolo conduce una vita da mantenuto o di perpetua disoccupazione. Così come è focalizzato il pinnacolo delle tasse su una ristretta cerchia di cittadini, anche le ore lavorative rispetto agli altri Paesi della UE sono maggiori in Italia per chi un impiego ha la fortuna di averlo.
Che ci fossero disequilibri nel nostro welfare ce n’eravamo accorti, senza che la Fornero sproloquiasse in merito agli obiettivi raggiunti per la salvezza delle casse pubbliche. Anche se siamo fermamente convinti che la cura adottata dai tecnici sia stata inefficace (non ha prodotto nuovi posti di lavoro) ed inefficiente (ha deteriorato le condizioni lavorative ponendo al centro della discussione l’ammorbidimento dell’art. 18).
Portare in Parlamento una riforma che apra i tornelli del mercato nel solo verso di uscita, riducendo le tutele guadagnate con lo Statuto dei Lavoratori, non fa altro che accompagnare nel baratro la classe dipendente smunta da una esasperante imposizione erariale diretta ed indiretta e con ancora maggiori incertezze sul futuro. Non solo, ma questa spigolosa strada intrapresa stralcia i doveri etici dell’imprenditore e produce cattiva occupazione anche quando siamo di fronte a contratti indeterminati. Eliminare il cosiddetto rischio d’alea, o ridurlo, porta ad una maggiore leggerezza nelle scelte marginalizzando il sempiterno concetto di “posto a vita”.
La pericolosa sensazione che circola nell’aria è quella della inutilità o inopportunità di prendere parte nella torta produttiva del Paese. L’unico modo per uscire dal circolo vizioso in cui ci siamo attanagliati, è quello di prendere di petto la questione lavoro e guardarla con la giusta lucidità e imparzialità che il tema merita. Fare una riforma vera che incentivi e sostenga i giovani all’acquisizione delle professionalità, che crei posti idonei per le nuove generazioni e renda le donne libere di esercitare un mestiere, e infine un sistema pensionistico che incentivi fortemente (e non costringa) gli anziani a restare il più a lungo possibile sul mercato riducendo il gap tra l’ultimo stipendio e il primo assegno pensionistico percepito.
V’è profondo rammarico per gli scarni risultati raggiunti dall’esecutivo tecnico e comunque non sono più auspicabili maggioranze di governo formate da personalità non elette e non legate da nessun vincolo di fiducia né elettorale. Guardare i bilanci pubblici è un dovere, ma tastare con mano la situazione sociale dei propri governati è la condicio sine qua non per la buona politica e la buona amministrazione.
Twitter @andrewlorusso
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