Il Decreto Lavoro è stato approvato definitivamente dalla Camera dei deputati con la modalità della fiducia e senza quindi la possibilità di presentare emendamenti. Proprio ieri infatti giovedì 29 luglio la Camera ha approvato con 154 voti favorevoli e 82 contrari il disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro (approvato dal Senato – C. 1238).
Il Decreto Lavoro ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2024, l’Assegno di inclusione e a decorrere dal prossimo settembre 2023 “Il supporto per la formazione e il lavoro”, misure di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, quali misure nazionali di contrasto alla povertà attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro.
Come avevamo però denunciato in un precedente comunicato, tra i requisiti di cui i potenziali beneficiari devono essere in possesso ci sono anche quelli di residenza che in pratica escludono tutti gli italiani residenti all’estero i quali decidono di rientrare in Italia e si trovano in uno stato di disagio economico e occupazionale. I requisiti di residenza sono stati concepiti per colpire i cittadini immigrati e non italiani e invece colpiscono anche e forse soprattutto i cittadini italiani emigrati i quali decidono di tornare in patria ma non potranno usufruire – ce ne fosse la necessità – di questi nuovi strumenti di inserimento socio-economico.
Una ulteriore ingiustizia nei riguardi dei nostri connazionali iscritti all’AIRE già spesso soggetti a discriminazioni fiscali e previdenziali.
Paradossalmente i requisiti di residenza di cui sopra che escluderanno dai due benefici gli italiani che rientrano in patria, sono stati introdotti (in effetti sono stati “ribaditi” perché mutuati dalla normativa sul RDC) proprio dopo che la Commissione europea (come ho denunciato a più riprese e anche in una mia recente interrogazione al Ministro del Lavoro) ha avviato due procedure di infrazione nei confronti dell’Italia, inviando lettere di costituzione in mora all’Italia, in ragione del fatto che le normative sul RDC e sull’Assegno unico non sono in linea con il diritto dell’UE in materia di libera circolazione dei lavoratori e dei diritti dei cittadini.
Con riferimento al requisito della residenza, infatti, i nuovi istituti introdotti dal Decreto lavoro prevedono, oltre a quelli reddituali, quale condizione per accedervi, l’aver soggiornato in Italia per 5 anni, di cui 2 consecutivi, immediatamente prima della presentazione della domanda. A norma del regolamento (UE) n. 492/2011 e della direttiva 2004/38/CE, la Commissione aveva ricordato infatti che “le prestazioni di sicurezza sociale come il “reddito di cittadinanza” (e ora per analogia, diciamo noi, come il Reddito di inclusione) dovrebbero essere, invece, pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato.
Insomma il nuovo Governo ora conferma i pasticci di quello precedente in materia di compatibilità dei requisiti di residenza richiesti per le prestazioni di sicurezza sociale con la normativa comunitaria sulla libera circolazione e i diritti sociali dei cittadini.
Aspettiamoci perciò nuove procedure di infrazione della Commissione europea contro l’Italia a causa dei requisiti di residenza ora richiesti nel Decreto Lavoro ai fini del diritto all’Assegno di inclusione e del supporto per la formazione e il lavoro che, come ho ricordato, sono ritenuti illegittimi dalla Commissione europea e che penalizzerebbero (con l’esclusione dal diritto) anche e soprattutto – se l’Italia non si adeguerà ai rilievi della Commissione europea – i nostri connazionali che rientrano in Italia.
Fabio Porta, deputato Pd eletto all’estero