Il referendum confermativo del 20 e 21 settembre è stato un appuntamento elettorale particolarmente sentito in Italia. Può dirci come ha seguito la comunità italiana in Venezuela questa votazione, che riduce il numero dei parlamentari eletti all’estero? Qual è stata la partecipazione?
Come negli altri Paesi dell’America Latina, la comunità italiana in Venezuela segue sempre con molta attenzione il dibattito politico in Italia. Quindi, ancora una volta gli Italiani in questo Paese – grazie anche all’informazione che abbiamo diramato, con il coordinamento della Farnesina e il sostegno dei responsabili delle istituzioni rappresentative della collettività – hanno preso parte a questa proposta di riforma della nostra Costituzione con particolare partecipazione. Ciò nonostante la crisi, la carenza di carburante e la pandemia, che ha bloccato di fatto i movimenti nel Paese e verso il Paese dal 15 marzo, cioè 192 giorni!
In queste condizioni, recapitare i plichi elettorali ai destinatari, recuperare le schede votate ed inviarle a Roma sono state, questa volta, operazioni davvero molto complesse. Per fortuna, si è riusciti ad ottenere le autorizzazioni necessarie affinché il volo militare, coordinato dal nostro Ministero degli Esteri, potesse fare anche scalo in Venezuela per recuperare le schede votate nelle circoscrizioni di Caracas e Maracaibo.
I dati della partecipazione al voto in questo Paese confermano l’attenzione che ha prestato la nostra comunità a questo referendum: 16.094 schede pervenute entro le ore 16.00 di martedì 15 settembre corrispondono infatti al 20% degli aventi diritto. Un dato in linea con le precedenti consultazioni referendarie, ma che va oltre le più straordinarie aspettative considerate le condizioni di riferimento.
Se poi, calcoliamo il tasso di restituzione sulle schede effettivamente consegnate ai destinatari, la percentuale è addirittura più alta, superando il 22%. Analoghi dati, sia pur numericamente molto inferiori, quelli nei sette Paesi di secondario accreditamento ovvero di competenza consolare: un’unica eccezione a Barbados, dove abbiamo avuto il 70% di partecipazione al voto!
Come forse saprà, a nome della collettività in Venezuela il Presidente dell’Intercomites ha lanciato la proposta di istituire il voto elettronico, dato che consentirebbe la più ampia partecipazione al voto. Naturalmente, si tratta di un’idea che presuppone una riforma dell’attuale legge, che prevede invece il voto per corrispondenza.
Il 1° febbraio è stato firmato, davanti ad una collettività molto entusiasta, lo statuto della fondazione “Ospedale Italiano del Venezuela”. Come mai non abbiamo più avuto notizie di questa interessante iniziativa? E’ stata abbandonata? Quali fondi sono stati raccolti?
Sin dal mio arrivo a Caracas, con il coinvolgimento diretto dei responsabili delle istituzioni rappresentative della nostra collettività, insieme ai titolari degli Uffici consolari di Caracas e Maracaibo abbiamo esaminato come migliorare l’assistenza medico-sanitaria in favore di connazionali bisognosi. Sulla base dell’esperienza acquisita a Buenos Aires, dove eravamo riusciti a garantire assistenza medica integrale a 4.444 connazionali per 365 giorni all’anno grazie all’Ospedale Italiano che opera in quella città dal 1853, abbiamo pensato che anche in Venezuela si dovesse istituire un ospedale della comunità. Ci siamo quindi messi in moto e dopo l’adeguamento dello statuto di Buenos Aires alle norme venezuelane, abbiamo convocato gli Italiani per la firma che è avvenuta in occasione della cerimonia solenne che Lei ha ricordato. Erano presenti il Sottosegretario di Stato agli Esteri, Senatore Ricardo Merlo, il Presidente della Croce Rossa Internazionale, Avvocato Francesco Rocca, e una delegazione dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, guidata dal Prof. Gabriel Farante.
In questa circostanza, ben 483 connazionali hanno espresso il desiderio di divenire membri fondatori e abbiamo avuto alcuni imprenditori che hanno versato complessivamente su un conto la somma di 80.000 dollari, mentre la Croce Rossa Italiana ha comunicato la disponibilità a donare la somma di 20.000 euro. Purtroppo, i tanti connazionali che avevano sottoscritto la scheda per divenire soci fondatori non hanno potuto donare i 500 dollari che avevano promesso, quindi la raccolta fondi è stata posticipata alla luce delle difficoltà concrete dovute alla quarantena disposta dalle Autorità sanitarie venezuelane.
Mentre il Comitato Promotore era alla ricerca di una figura autorevole che potesse guidare il Consiglio Direttivo, possibilmente un’imprenditrice capace di dare l’impulso necessario alla fondazione appena costituita, la pandemia ha purtroppo bloccato per mesi l’attività che era iniziata nel migliore dei modi.
Solo il 25 aprile, in base a quanto emerso fra i membri che avevano promosso la fondazione, è stato nominato un Consiglio Direttivo, chiamiamolo “di guerra”, con l’obiettivo di portare avanti il lavoro. Dopo innumerevoli riunioni e la creazione di Commissioni ad hoc, il Consiglio Direttivo ha approvato all’unanimità la scelta di un immobile, una clinica privata da restaurare ma che avrebbe permesso in pochi mesi di poter aprire le porte di questa istituzione della collettività.
Naturalmente, tutti questi passaggi sono sempre stati coordinati con le Autorità italiane e quelle venezuelane, dato che il progetto della nostra comunità deve essere realizzato su un piano istituzionale.
Nella cornice delle misure per curare in Venezuela i contagiati dal Covid-19, purtroppo, la sede che era stata individuata è stata requisita dal Ministero della Salute. Su mia richiesta, siamo ora in attesa di ricevere dalle Autorità venezuelane un elenco di proposte che ci auguriamo di ricevere in breve tempo; il nostro obiettivo resta immutato.
Non appena potremo avere una sede, la doteremo con la migliore tecnologia in modo da poter garantire un servizio di eccellenza alla nostra comunità. Il sistema funzionerà come a Buenos Aires, con “plan de salud”, assicurazioni che potremmo garantire con particolari sconti per gli italiani e coloro i quali hanno aderito in qualità di membro fondatore. Solo allora potremmo presentare una convenzione al nostro Ministero per poter fare in modo che i nostri connazionali bisognosi siano assistiti dal nostro ospedale; si tratta di un risultato che la nostra collettività in Venezuela anela e che dobbiamo regalarle con il lavoro di questi anni.
Ma allora, nel frattempo? Cosa succede? Gli italiani non hanno più assistenza?
Non è proprio così. Una cosa è la fondazione senza fine di lucro “Ospedale Italiano del Venezuela”, una istituzione della nostra collettività che deve essere realizzata come abbiamo promesso. Un’altra è l’assistenza ai connazionali bisognosi. Questo è il compito degli Uffici consolari che, fra le loro funzioni, hanno anche la funzione della tutela delle nostre comunità all’estero.
Anche qui, penso che debbano parlare i dati: a Caracas abbiamo aumentato l’intervento in termini sostanziali, cioè siamo passati da interventi spot e con risorse limitate che non permettevano ai connazionali un’assistenza sicura e una vita dignitosa, a cure mediche e farmaci per chi necessita e aiuti economici decorosi. Solo nella capitale nel primo quadrimestre sono state aiutate 1.585 persone, con un costo quadruplicato. A Maracaibo, invece, da un’attività sporadica e sussidi irrisori, abbiamo voltato pagina, con sussidi, medicine, assistenza medico-sanitaria; risultati senza precedenti anche per quanto riguarda gli arretrati accumulatisi negli ultimi quattro anni.
Un’ultima domanda. Cosa può dirci delle critiche per la mancata realizzazione di un altro volo speciale per il rimpatrio dei connazionali in Italia?
Dall’inizio della pandemia – in stretto coordinamento con la Farnesina – le Ambasciate UE hanno rimpatriato dal Venezuela con 19 voli speciali 5.073 cittadini europei; di questi ben 774 sono stati gli italiani che abbiamo fatto rientrare.
La nostra Ambasciata è stata la prima ad organizzare un volo diretto e l’unica a garantire collegamenti aerei da Maracaibo e da Margarita per il trasferimento dei connazionali a Caracas, durante la chiusura dello spazio aereo che ha comportato anche il blocco dei voli interni.
Molti italiani, purtroppo, forse sperando nella riapertura dei voli commerciali, di cui avevano il biglietto di rientro, non hanno voluto approfittare delle opportunità che gli avevamo offerto in questi mesi; tanti, poi, non sono neppure residenti in Italia, ma reclamano oggi voli per recarsi a Miami, a Londra e, soprattutto, in Spagna. E’ normale, dato che siamo al 192° giorno di quarantena.
Comunque, vorrei farLe sapere che sono stato autorizzato a richiedere alle Autorità venezuelane il permesso per poter organizzare un altro volo diretto; speriamo di riuscire anche stavolta, ma deve essere chiaro che verranno rispettati scrupolosamente i criteri disposti dalle normative emanate dal Ministero della Salute per il contenimento dei contagi in Italia. Comprenderà che non possiamo permetterci un nuovo lockdown.