Cresce il dibattito pubblico che ruota intorno alla riforma del premierato. Con l’elezione diretta del premier finirebbero tutti quei giochetti e ribaltoni a cui la politica italiana ci ha abituato negli ultimi decenni, e verrebbe finalmente garantita la stabilità dell’esecutivo, dando il potere a chi governa eletto dai cittadini, cosa che in Italia sarebbe una vera rivoluzione.
Purtroppo una certa parte della politica e della stampa italiana, spinta dai “gruppi di potere” di sempre, utilizza il voto degli italiani nel mondo come un impedimento alla buona riuscita della riforma. Il voto degli italiani all’estero diventa quindi un escamotage che viene utilizzato da alcuni settori come leva per opporsi a una riforma che darebbe meno influenza ai cosiddetti poteri forti che, in un sistema politico debole, impongono i loro interessi.
Sul quotidiano Repubblica si legge che la partecipazione al voto degli italiani all’estero potrebbe valere il dieci per cento del totale. Già partono da una “affermazione sbagliata” per arrivare ai loro scopi. Basta vedere le percentuali di chi ha votato oltre confine alle diverse elezioni politiche per capire benissimo che l’affluenza all’estero vale il 4% dell’elettorato totale. Anzi, se il meccanismo elettorale prevedesse l’inversione dell’opzione, ovvero il registro degli elettori, la partecipazione potrebbe aggirarsi addirittura alla metà, quindi arriverebbe a circa il 2% del totale dei votanti. Ma si vede che alcune teste costituzionali italiane preferiscono proporre soluzioni anticostituzionali.
Quale sarebbe il problema, se con i propri voti gli italiani all’estero dessero fiducia al centrodestra o al centrosinistra? Dove sarebbe il disastro politico? Forse che i residenti in Italia appartengono a una razza superiore?
Veramente questi commenti e affermazioni costituiscono una grande truffa, per evitare di fare eleggere il premier direttamente ai cittadini italiani e continuare invece con un sistema medievale in cui il sovrano sceglie sei senatori a vita. Loro sì, invece, possono determinare chi governa in Italia.
Non è nemmeno questione di numeri, ma di principio: un voto vale uno. Un cittadino italiano, ovunque sia, in Italia o nel mondo, esprime il proprio voto. Che vale uno, appunto: il voto di un connazionale residente a Parigi o a Barcellona (quasi la metà dell’elettorato estero si concentra in Europa) vale quanto quello dell’italiano residente a Roma o a Milano. Così è alle elezioni europee.
Ci dispiace e siamo molto delusi dalle dichiarazioni rilasciate dal costituzionalista Marcello Pera, secondo cui “la revisione dell’elezione a suffragio universale e diretto attribuisce chiaramente un peso eccessivo al voto degli Italiani residenti all’estero, in quanto sproporzionato rispetto ai seggi loro spettanti”. Tutto questo non ha alcuna costituzionalità. Stiamo parlando di un’elezione diretta di un premier, non di elezioni parlamentari. E far pesare meno il voto di una parte dell’elettorato è assolutamente anticostituzionale e antidemocratico, a meno che qualcuno non voglia fare carta straccia della Costituzione.
Anche alcuni costituzionalisti targati Pd (Stefano Ceccanti, Claudio Petruccioli ed altri esponenti del centrosinistra) sostengono che il peso del voto degli italiani nel mondo non può seguire la logica dell’uno vale uno. Sono costituzionalisti del Partito Democratico, ma di democratici sembra non abbiano davvero nulla.
Resteremo vigili, con le antenne bene alzate, pronti a dare il nostro contributo alla discussione; pronti, soprattutto, a far sentire forte la voce degli italiani all’estero, che non sono affatto cittadini di serie B o figli di un dio minore, ma italiani a tutti gli effetti. Qualcuno dovrà farsene una ragione.
*presidente MAIE – Movimento Associativo Italiani all’Estero