In una campagna elettorale abbastanza piatta e dove i protagonisti sembrano scambiarsi solo battute su temi un po’ scontati, emergono però due elementi di netta diversità tra il centro-destra e la sinistra: il presidenzialismo e l’opportunità di un diverso rapporto con l’Unione Europea.
La sinistra è per mantenere lo status quo: qualsiasi riforma costituzionale è vista come l’antidemocratica anticamera di un ritorno a un regime, il PNRR è dichiarato immodificabile e per il PD se l’Italia cambiasse maggioranza di governo rischierebbe di essere messa al bando in Europa.
Premesso che ogni cambiamento istituzionale ha un proprio iter con i tempi necessari, credo che questi due temi siano invece (o possano essere) i due veri “cavalli di battaglia” per un’alternanza di governo e – a parte gli aspetti dell’attuale crisi energetica ed economica – mettono in luce la necessità per l’Italia di un vero cambiamento.
Da sempre ritengo che un Presidente eletto direttamente dal popolo abbia più autorevolezza, credibilità ed in definitiva permetta una maggiore democrazia in un paese senza il filtro dei partiti, mentre i rapporti con l’UE devono avere un deciso cambio di marcia.
Certamente Draghi è ben visto a Bruxelles e chiunque si insediasse a palazzo Chigi sarebbe – per il “gotha” finanziario europeo – un profondo rischio di disturbo, ma sono convinto che se oggi fossero vivi De Gasperi, Adenauer, Spaak, Monnet e gli altri padri fondatori del dopoguerra europeo inorridirebbero vedendo cosa è diventato il baraccone della burocrazia europea e le manovre economiche che ci girano intorno.
Il ruolo dell’Italia non deve essere più quello della ruota di scorta che – indebitata fino al collo – va in buona sostanza solo a pietìre aiuti e scostamenti di bilancio autorizzati, ma vorrei diventasse il caposaldo dei paesi mediterranei.
Quelli, per intenderci, che a Bruxelles contano poco rispetto all’asse franco-tedesco e conterebbero ben di più soprattutto se fossero capaci di “allearsi” con i paesi dell’Est Europeo, quei paesi che erano stati accolti (troppo) alla svelta nella UE soprattutto perché considerati sbocchi di mercato per Berlino e che oggi sono visti con sospetto solo perché chiedono altre politiche, compresi diversi atteggiamenti con Mosca. L’Italia deve essere un paese serio, ma non succube e deve imparare anche a fare maggiormente i propri interessi sui temi che per noi sono importanti. Parlo delle culture agricole mediterranee come di una gestione comune dell’immigrazione, ma anche della gestione dell’energia e della politica estera.
Non bisogna solo essere credibili dal punto di vista finanziario, ma anche nei comportamenti, compreso il rigore da auto-imporci gestendo le risorse comuni. Solo il futuro dirà se – in caso di vittoria – la destra sarà capace di farlo, per ora mi pare evidente che la sinistra non abbia inciso a Bruxelles più di tanto e soprattutto difeso gli interessi italiani nonostante le tante dichiarazioni demagogiche: dal piano-sbarchi al prezzo del gas basta guardare i fatti.
Il primo cambiamento e segno di discontinuità da pretendere, se il centro-destra vincesse, sarebbe comunque il chiedere le dimissioni al nostro “commissario” Gentiloni: non può continuare a galleggiare come un turacciolo con qualsiasi maggioranza: abbiamo bisogno di qualcuno che difenda i nostri interessi, non di un passacarte, anche perchè non si capisce come mai – ormai da decenni – a rappresentare l’Italia debba esserci sempre un esponente PD.
L’aspetto “politico” della UE diventa ancora più importante visto le posizioni che l’Europa sta prendendo contro gli stati – come l’Ungheria – che vengono definiti “antidemocratici” perché non in linea con i desideri di Bruxelles. Un tema che va approfondito molto seriamente, visto i suoi sviluppi clamorosi che potrebbero portare perfino alla auto-secessione degli stati “disallineati” e a una crisi generale dell’Unione.