In una delle prime edizioni della settimana della lingua italiana nel mondo, ricordo che da Roma venne inviato qui a Santiago lo scrittore e giornalista Beppe Severgnini.
Una frase della sua esposizione ho frequentemente avuto in mente: “L’italiano si studia perché è bello, l’inglese perché è utile”.
In questo mese di ottobre, in cui si celebra la 24esima edizione di quest’appuntamento annuale con il titolo: “L’Italiano e il libro, il mondo tra le righe”, la frase stimola a più di una considerazione.
Intanto la bellezza è una parola che porta ad affrontare il tema della lingua italiana come veicolo di trasmissione della ricchezza culturale del Paese e per l’armonia espressiva del linguaggio. Sulla valenza, utilità dell’italiano, valga come esempio l’interesse crescente di studiare nelle Università Italiane.
Le prove di certificazione linguistica che permettono di accreditare le conoscenze e le competenze raggiunte secondo parametri Europei stabiliti (A1, A2, B1……) sono in aumento da quando hanno preso inizio dalla seconda metà degli anni 90.
Va da sé che la stessa cittadinanza europea si avvale di questi strumenti che avendo parametri comuni delle lingue parlate in Europa sono anche strumento di integrazione e di identità propria.
Come cittadini italiani all’estero non possiamo tralasciare gli aspetti di un italiano certificato che sia alla base della formazione dell’identità culturale. Ma ecco un paradosso: la vasta e diversificata offerta di studio dell’italiano che avviene per diverse strade. Istituti italiani di cultura; scuole italiane paritarie, corsi qualificati per adulti offerti dai Comitati Dante Alighieri; tutto questo non motiva sufficientemente il grande pubblico degli italo discendenti che iniziano il percorso della cittadinanza Ius Sanguinis a frequentare questi corsi.
La legge attuale non prevede tra i requisiti la conoscenza della lingua italiana. Portare avanti un discorso comune sul tema, allontanerebbe anche le tentazioni facili, che possono rasentare forme di populismi e di sciovinismi di chi sostiene che la legge della cittadinanza Ius Sanguinis non va toccata.
Questa settimana della lingua italiana 2024, quando il tema della cittadinanza muove le acque a tutti i livelli, è una buona occasione per riflettere, anche per i settori della politica, di movimenti ed associazioni che si occupano del mondo degli italiani all’estero. Si tratta di non negare in questo caso un diritto di sangue, ma educarlo all’esercizio dei doveri connessi, di cui l’identità linguistica e culturale sono il principio fondante.