Nel bilancio dello Stato italiano di quest’anno, compare un’importante novità per quanto riguarda la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo: la creazione di un Fondo quadriennale destinato a rafforzare il nostro sistema di promozione, dotato complessivamente di 150 milioni.
Per il 2017 è prevista una prima tranche di 20 milioni da ripartire su proposta del Ministero degli esteri in dialogo con quello per i beni culturali e con quello dell’economia. Speriamo, tuttavia, che questa novità regga alla prova dell’ulteriore giro di vite sulla spesa pubblica italiana, richiesto dall’UE e ripetutamente richiamato dal nostro Ministro dell’economia e finanze. I precedenti interventi di razionalizzazione hanno avuto, purtroppo, sempre brutte ripercussioni sulla promozione della cultura all’estero, sicché qualche inquietudine anche in questo caso è legittimo averla.
Questa attesa e innovativa misura, comunque, è stata voluta direttamente dal Presidente Renzi e da lui annunciata agli Stati generali della lingua italiana, tenuti a Firenze nello scorso mese di ottobre. La comune convinzione di molti di noi è che questo orientamento dell’ex Presidente del Consiglio, che inverte un trend negativo fatto di pesante riduzione degli investimenti e di marginalizzazione del settore, sia maturato a seguito delle visite da lui fatte in Australia e in altri Paesi del mondo, dove ha potuto avere una conoscenza diretta delle esperienze di insegnamento dell’italiano realizzate e in corso e ha potuto valutare de visu il valore della presenza formativa dell’Italia in termini non solo culturali ma geopolitici.
Personalmente sono convinto che Renzi sia arrivato a questa decisione soprattutto dopo avere conosciuto direttamente il sistema di insegnamento della lingua e della cultura italiana che si è sviluppato nei diversi Stati dell’Australia in circa trent’anni. È facile, per chi abbia quotidianamente sotto gli occhi una determinata realtà, abituarsi ad essa e considerarla normale. Ma il sistema formativo italiano in Australia, se riferito all’intero impianto che l’Italia ha realizzato all’estero e se messo a confronto con esperienze simili maturate in altri contesti di emigrazione, si presenta veramente con caratteristiche e dimensioni peculiari, anzi uniche, sia sotto il profilo delle dimensioni quantitative che sotto quello dei risultati di qualità.
Mi pare opportuno, dunque, ripercorrerne sia pure sinteticamente le tappe perché possiamo avere una più precisa cognizione di ciò che ci appartiene e di cui molti di noi sono stati anche protagonisti, diretti o indiretti. Di come, insomma, l’italiano sia riuscito a diventare la lingua straniera più insegnata nelle scuole di questo Continente.
Già negli anni novanta i Co.As.It, nati nel corpo più profondo dell’emigrazione italiana del dopoguerra e trasformatisi con il tempo in strutture organizzate dotate di una forte capacità di promozione, sono riusciti a inserire nel sistema scolastico australiano corsi per 180.000 studenti. Un’utenza considerevole, considerando che essa rappresentava circa la metà di quella realizzata nel mondo da tutti gli enti gestori messi insieme. Il riassorbimento dei corsi nelle istituzioni scolastiche locali è da considerarsi un’evoluzione positiva, di integrazione e di stabilizzazione, assecondata per altro dai Co.As.It con una persistente attività di sostegno.
La qualità dell’insegnamento è stata tenuta alta nel modo più proprio, vale a dire assicurando la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti: 600 di loro hanno potuto partecipare a corsi di aggiornamento presso università italiane senza pesare sugli investimenti del Ministero degli esteri ma utilizzando risorse locali; ogni anno, inoltre, sempre i Co.As.It hanno organizzato corsi in sede chiamando prestigiosi esperti provenienti dalle migliori università italiane. Per cinque anni, poi, si sono tenuti corsi di formazione e aggiornamento a distanza, in base ad un progetto speciale dello Stato del Victoria, cofinanziato dal governo italiano, con la partecipazione di tutte le scuole di quello stato e di molte del New South Wales. A partire dal 1990, infine, almeno trenta laureati di università italiane hanno potuto trovare in Australia, per otto mesi all’anno, un’occasione di apprendistato didattico e di lavoro, con un cofinanziamento italo-australiano.
Un elemento distintivo sul piano della sperimentazione e dell’innovazione è costituito dalla realizzazione a Sidney di una scuola bilingue, visitata da Renzi in occasione del G20 del novembre 2014, che dà il senso di un lavoro non solo in estensione ma anche in profondità.
Spesso si parla, soprattutto in Italia, delle associazioni in emigrazione e degli stessi enti gestori come di cose del passato, quasi una specie di cani morti. Ebbene, pochi esempi sono più probanti di come dei soggetti, che hanno forti radici nell’esperienza viva dell’emigrazione italiana, siano stati capaci di evolversi e di proiettarsi verso il futuro, raccogliendo una domanda di apprendimento dell’italiano ormai come lingua straniera, senza recidere il cordone ombelicale delle origini.
Se andiamo oltre le discussioni particolari e talvolta anche polemiche sulla gestione degli interventi formativi, possiamo dire in tutta tranquillità che l’apprendimento dell’italiano nelle scuole australiane sia stato uno dei segnali più alti dell’integrazione degli italiani in questo continente e del riconoscimento che essi hanno saputo ottenere in una realtà geograficamente distante dalla patria d’origine e quindi meno esposta agli influssi di essa.
Una realtà nella quale essi hanno dovuto costruire dalle basi una loro dignitosa condizione di cittadini e di lavoratori e il futuro delle successive generazioni. Questo è potuto accadere – onore al merito – per il modo come l’Australia ha accolto i suoi migranti e per le politiche multiculturali adottate dai suoi governi. È potuto accadere, però, anche per una lunga pratica di dialogo e collaborazione bilaterale, che ha visto il governo italiano, soprattutto in questo campo, cogliere le opportunità che erano offerte da un Paese multiculturale e sostenere, nei limiti del possibile, la sua grande e operosa comunità d’origine.
Tanto va detto per onore della verità, ma senza tacere problematiche e difficoltà passate e presenti. L’intervento di sostegno per la lingua e la cultura italiana all’estero, negli ultimi anni, si è fortemente ridimensionato per le ben note restrizioni finanziarie di questa fase di crisi e per l’insensibilità di alcuni governi, in particolare di quelli di centro-destra. I tagli in questo campo sono stati superiori a quelli lineari della spesa pubblica italiana e, dal 2008 in poi, si sono attestati tra il 60% e il 70%. Le conseguenze si sono sentite anche qui, dal momento che il ridimensionamento del sostegno italiano ha determinato l’erosione anche di quello australiano, con la conseguenza di una perdita di circa 40.000 studenti, che hanno preferito scegliere una lingua orientale, per altro in un quadro di esplicita incentivazione dei governi australiani. Nonostante ciò, il numero degli studenti dei corsi d’italiano come lingua straniera resta il più alto che sia dato registrare in Paesi di emigrazione.
Ora siamo di fronte a un bivio, o forse a più di uno. Non ci si può cullare sugli allori perché il livello di concorrenzialità di altre lingue si è progressivamente elevato, sia in Australia che nel mondo. D’altro canto, il progressivo fluire delle generazioni, rischia di ovattare l’appeal dell’italiano in quelle più giovani e, quindi, con il complicare le cose in prospettiva.
Per non sfuggire alla concretezza delle questioni aperte, i terreni di confronto e di impegno più immediati sono due. Il primo è quello delle risorse. Per i consueti e malaugurati automatismi di bilancio, quest’anno si è presentata una situazione molto critica, nel senso che i 12 milioni di sostegno dei corsi di lingua e cultura degli enti gestori si sono più che dimezzati. Come eletti all’estero del PD siamo intervenuti con un emendamento migliorativo che ha consentito di recuperare quattro milioni di euro, portando la cifra complessiva a 9,8 milioni. Gli uffici del MAECI su questa base hanno iniziato le operazioni di ripartizione annuale, utilizzando i criteri distributivi dello scorso anno. Tuttavia per arrivare alla cifra di dodici milioni, il consolidato degli ultimi anni, mancano ancora altre risorse. In sede di Commissione esteri della Camera abbiamo strappato un impegno del Governo a destinare una parte dei 20 milioni del Fondo per la promozione della lingua e della cultura italiana all’estero ai corsi degli enti gestori. Ne abbiamo chiesti 6, finora ce ne sono stati promessi due. Continueremo a impegnarci, assieme al CGIE, perché non solo si ritorni ai 12, ma si dia un segnale di inversione di tendenza, come è nello spirito della scelta di istituire un Fondo destinato alla promozione.
Un secondo piano di confronto, non meno complesso, è quello che riguarda l’emanazione da parte del Governo del decreto, legato alla legge sulla Buona Scuola, che disciplina le scuole italiane all’estero e le altre attività linguistico-culturali. Non saremo certo noi a negare l’esigenza di un aggiornamento e di un maggiore coordinamento delle normative in questo settore, che risalgono spesso a decine di anni addietro. Ma proprio perché si tratta di un necessario aggiornamento, è necessario che si prenda atto delle trasformazioni avvenute in questi anni e che la nuova normativa aderisca quanto più è possibile, con la necessaria flessibilità, alle situazioni molto diversificate che si sono venute a determinare.
L’Australia ne è un esempio palmare. Un modello italocentrico e gerarchico non può funzionare adeguatamente. È necessario spostarsi verso un modello articolato e policentrico, che faccia tesoro del valore delle scuole italiane all’estero e di quelle internazionali, ma che nello stesso tempo consenta di plasmare l’offerta formativa sulla diversità delle situazioni da coprire.
In particolare, non consideriamo accettabile che gli enti gestori siano assorbiti nella generica dizione di “soggetti senza fini di lucro impegnati nella diffusione della lingua italiana”, ma è necessario che il loro profilo formativo, giuridico e amministrativo sia evidenziato in modo chiaro ed esplicito.
Siamo dunque impegnati nel chiedere, nel parere che dobbiamo esprimere in Parlamento, la modifica del decreto in questo senso, con la certezza semplicemente di rispecchiare la verità storica di questi anni e di preparare un promettente futuro per le nostre comunità.
Sono stati complessivamente 2.233.373 gli studenti della nostra lingua nel mondo. Gli ultimi dati sulla diffusione dell’insegnamento dell’italiano riguardano l’anno scolastico 2014/2015. Il numero registra un incremento notevole rispetto al 1.761.436 studenti dell’a.s. 2013/2014 e al 1.522.184 studenti dell’a.s. 2012/2013. I dati sono stati presentati durante la seconda edizione degli Stati generali della lingua italiana nel mondo, il 17 e il 18 ottobre 2016 a Firenze.
Stati Uniti e Australia sono i paesi anglofoni con il maggior numero di studenti di italiano. In Australia, in particolare, dove l’italiano è parte del patrimonio culturale ereditato dalla forte immigrazione di nostri connazionali, sono stati conclusi una serie di accordi per l’inserimento di corsi di italiano nei sistemi scolastici locali. Qui, la nostra resta la seconda lingua più studiata.
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