Il green pass è entrato a far parte del nostro quotidiano. Ne abbiamo bisogno per andare nei ristoranti al chiuso, al cinema, ai musei, per viaggiare su aerei e treni a lunga percorrenza e per molto altro.
La società oggi si divide tra chi lo reputa un valido strumento per contrastare il diffondersi del virus e tornare a riappropriarci della normalità, e chi lo vede come una ingiusta violazione della propria libertà, un obbligo a sottoporsi ad una pratica medica anche se non si è d’accordo.
Pensare, però, di ridurre la questione ad una contrapposizione tra pro vax e no vax è alquanto riduttivo e decisamente non corrispondente al vero. Per riuscire a comprendere meglio i reali effetti dell’entrata in vigore del green pass da un punto di vista della socialità il Dipartimento di Sociologia dell’Università popolare degli Studi di Milano ha realizzato un’indagine conoscitiva su un panel di 225 giovani di età compresa tra i 19 e i 30 anni iscritti all’ateneo.
Dallo studio emerge come, in generale, gli intervistati siano a favore di questo strumento. L’89%, infatti, la ritiene una scelta giusta e quasi obbligata per tutelare i cittadini e contenere contagi, ma il 34% ritiene che possa diventare una discriminante sociale. Un pensiero che, a dire il vero, trova conferma nel 71% degli intervistati, che dichiara di aver completato il ciclo vaccinale e di evitare di frequentare persone non vaccinate. Una scelta, però, che non tiene conto dell’impossibilità per alcune persone di sottoporsi al vaccino.
Una situazione che sembra spaccare in due l’opinione pubblica, ad eccezione di una piccola percentuale di intervistati (7%) che si dichiara neutrale a riguardo, arrivando a suscitare anche reazioni estreme. Se un 13% plaude all’introduzione del green pass, e auspica un’estensione della sua obbligatorietà per accedere a qualsiasi luogo affollato, inclusi i centri commerciali e i supermercati, un 15% si sente “tradito” dallo Stato nel patto di fiducia, si sente estraneo a questa decisione che lo allontana dalla Cosa Pubblica.
“Dal 1° settembre il green pass è obbligatorio anche per accedere all’università e volevamo sapere cosa ne pensassero i nostri studenti. Questa indagine dimostra che, sebbene i giovani siano rispettosi delle regole, non tutti la pensano allo stesso modo a riguardo. – Commenta il Prof. Avv. Giovanni Neri, Magnifico Rettore dell’Università Popolare degli Studi di Milano – I dati che ne emergono dimostrano come i nostri studenti abbiano un pensiero critico personale, che si interroga sulle questioni di interesse generale e collettivo. Il tema della socializzazione e di come il green pass potrà rappresentare, di fatto, un elemento discriminante andrebbe sicuramente approfondito, soprattutto tra i più giovani, che devono sottostare alle decisioni dei genitori. Anche il sentimento di lontananza dallo Stato che alcuni intervistati dichiarano di provare dovrebbe spingerci ad una riflessione”.
“Ma è proprio sulla parte residuale – aggiunge il Prof. Dr. Nicola Crozzoletti, Psicologo e Psicoterapeuta, Cattedra universitaria di Psicologia clinica e dell’Educazione presso l’Università Popolare degli Studi di Milano – che si osserva il contesto decisionale di sfiducia del green pass. È importante sottolineare come l’obbligatorietà del green pass ci porti a spinte cognitive che spesso alterano il contesto di comportamento abituale. Si sposta lo scopo di un bisogno psichico individuale in uno più salutare, sia per se stesso, sia proiettato a favore della collettività. Le persone sono invitate a scegliere non più in base alle loro convinzioni, ma rispetto alla dimensione sociale di appartenenza, una ipotesi già avanzata nel 2017 dal Premio Nobel per l’Economia Richard H.Thaler. Un altro aspetto non meno importante è il concetto di ‘tradimento’ verso una Libertà della propria persona o di Libertà intesa nel pensiero Sociale. J.J. Rousseau intendeva la Libertà come contratto sociale: i cittadini sono promossi nel dare origine alle leggi democraticamente, solo che la deliberazioni è resa attuabile da istituzioni dello Stato che incarnano la volontà generale e chi le viola deve essere costretto a “correggersi” agli obblighi imposti che non devono essere discussi nella loro sensatezza dal popolo, ma accettati per un senso civico e altruistico proiettato nel bene comune. Nella Pandemia odierna, il conflitto non è solamente psichico ma anche simbolico: da una parte il principio della Democrazia come fondamento di struttura organizzativa, dall’altra il carattere proprio della natura umana che ha l’episteme nella codifica genetica in un processo di adattamento evolutivo e nelle svariate forme d’uso della nostra intelligenza”.