Il Ministro Gentiloni ieri, nella suo intervento urgente alla Camera sulla situazione in Libia, ha insistito sulla necessità di “intervento” diretto attraverso un “Cambio di Passo della Comunità Internazionale”, che nella sostanza è un preludio a quanto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, pressato dalla onnipresente voce del genio della strategia dello Stay Behind, il Presidente Obama, si accinge a esaminare nelle prossime ore.
A Gentiloni ha fatto seguito il Ministro Pinotti, dando assicurazione che le FF.AA. italiane sono pronte a intervenire per una missione in Libia sotto egida ONU. Il Leader Renzi, dopo le sue esternazioni sulla necessità di attenta riflessione e la sua personale contrarietà all’intervento armato, si è chiuso in un anomalo silenzio. Insomma, l’Italia, su quanto sta accadendo nel mondo Islamico, in particolare in Libia, brilla per confusione e indeterminazione. Certamente non è la sola ad avere una visione confusa su quanto in essere. Molte altre nazioni europee dimostrano, infatti, una certa arretratezza culturale nelle valutazioni che vengono via via esternate. Sì, proprio “ARRETRATEZZA CULTURALE” soprattutto nei confronti dell’ISLAM.
Si continua a differenziare l’ISIS, Al Qaeda, Salafiti, Al Qaeda Maghreb, Boko Haram, dal complesso delle “Nazioni” di credo Musulmano, senza comprendere che, ahimè, l’Islam è sempre lo stesso: uno, solo, indistinto e culturalmente unisono ISLAM. Certamente in questo ISLAM esistono nette differenze, sia di comportamento nazionale sia di approccio internazionale, tali da poterle raggruppare in “buoni” e “cattivi”. Ma già con questa semplice suddivisione, a guardare bene, si comprende che quanto sta accadendo, più che interessare il quadro internazionale, è qualcosa che si sta “giocando” all’interno stesso del mondo Musulmano. E’ una “guerra”, un “confronto” generato da uno “scontro culturale” interno allo stesso Islam, che per ora interessa solo marginalmente il coagulo monoteista internazionale, con ogni probabilità a soli fini di “pubblicità”: il preludio per quella che in gergo si chiama “Guerra psicologica e di Comunicazione”!
Per avvalorare questa tesi basti accennare a quanto in atto all’interno di alcuni paesi della “primavera araba” che sono usciti dal periodo “rivoluzionario” e stanno iniziando a vivere i primi passi verso forme nuove di “democrazia islamica”. La Tunisia è d’obbligo, essendo l’unica a essersi guadagnato a suon di sangue il pieno avvento alla Democrazia. Ebbene, la cronaca del solo ultimo mese racconta l’eccidio di 16 civili, barbaramente uccisi da jihadisti salafiti a suon di Kalashnikov su una corriera presso Kasserin; un ufficiale della guardia nazionale “sgozzato” in pubblico a Jandouba; cinque militari dell’Esercito morti in conflitto a fuoco sulle montagne al confine con l’Algeria; e ancora ieri:” Quattro eroi della Guardia nazionale” sono stati martirizzati a seguito di un attentato terroristico nel governatorato di Kasserin, al confine con l’Algeria. L’eccidio è stato rivendicato dal principale gruppo jihadista tunisino: la brigata “Uqba ibn Nafi”, legata ad Al-Qaida Maghreb, che opera al confine montagnoso tra l’Algeria e la Tunisia. Al tempo stesso, da parte delle forze dell’ordine tunisine non manca giorno senza “operazioni antiterrorismo” o arresti cautelativi di Taksiri (sorta di “ispettori” salafiti che hanno potere di vita o di morte su chi non osserva la Sharia!) e di sospetti Jihadisti. Insomma, la “prevenzione” al terrorismo islamico dei tempi di Ben Alì e divenuto un fatto di cronaca nera quotidiana. In Tunisia, si combatte in silenzio una pletora di gruppi Jihadisti che, per fortuna, a tutt’oggi mancano di coordinamento.
Di altre nazioni post rivoluzionarie, mi basti citare, senza dilungarmi oltre, l’Egitto di Morsi e del Generale Al Sissi. Morsi è in carcere sotto attenta protezione, ma i fratelli Musulmani di estrazione Salafita continuano imperterriti il loro percorso di sangue in cerca del Califfato di antica memoria.
La situazione è radicalizzata all’estremo in Libia, dove il Premier Abdallah Al Thani ha confermato che membri dell’Isis e di Boko Haram si sono uniti ai principali gruppi terroristici presenti in Libia. Solo la facilona visione occidentale poteva accarezzare la speranza di una possibile riconciliazione delle fazioni libiche, insistendo per l’istituzionalizzazione del dialogo politico sociale e tribale-regionale. Ma la realtà è ben diversa. Con la benedizione del Qatar (leggi USA e Arabia Saudita) e la Turchia, il più duro jihadismo internazionale si è affermato in Siria e in l’Iraq, ma ben altri focolai sono in corso d’opera. La rivoluzione del 17 febbraio 2011, che ha consentito lo smantellamento del regime autoritario di Muhammar El Gheddafi, ha completamente deviato dal suo corso e dai suoi obiettivi, per dare vita, con l’avvallo del Commissario straordinario delle Nazioni Unite, a una sorta di “militarizzazione” della società e delle varie Istituzioni dello stato, soprattutto a livello locale/tribale. Oggi ci sono più di tre eserciti: quello “regolare”, quanto mai indebolito rispetto alla governance del vecchio regime; quello del generale "Al Haftar" e un terzo di "Fajr Libia". Ma su tutti vigilano una pletora di altri piccoli gruppi che fanno capo a “Ansar Echariaâ” e ora "Daëch (ISIS)".
Le Nazioni Unite, i governi occidentali e la comunità internazionale sono rimasti a guardare l’avvento, negli ultimi due anni, di una derivazione dell’"emirato" islamico in Derna e a Misurata, sotto la supervisione di Ansar Echariaâ, attraverso l’unificazione di differenti forze jihadisti. Di giorno in giorno, nell’indifferenza generale, questi gruppi si sono uniti sotto la sola bandiera nera del Califfato fino a conquistare la capitale, Tripoli, e oggi incominciando a delinearsi sul confine con la Tunisia. Il gruppo di Ansar Echariaâ è certamente quello di maggiore potenza in Libia per composizione, armamento e organizzazione. Il secondo gruppo, quello di Al Haftar non è degno di menzione, visto che nell’ultimo anno ha solo ceduto spazi strategici, in particolare Tripoli, e presto crollerà, purtroppo, anche sul fronte di Bengasi, dove gli Jihadisti di Daëch rinforzano la loro presenza giorno dopo giorno.
Nella sostanza, la Libia appare agli occhi della Jihad, ringraziando anche Sarkozi e Bernard Henry Levy, come un regalo venuto giù dall’alto, ancor più che l’ Iraq e la Siria, perché in questo paese ormai non esiste più uno Stato funzionale: lo Stato in Libia non esiste più! E’ un po’ quanto già accaduto in Somalia e …, anche li, sullo sfondo la lunga mano USA!
Pertanto, il jihadismo legato al Qaeda (Ansar Echariaâ) e Daëch in questo momento sono in netto vantaggio rispetto ai piani ingenui e "surreali" dell’inviato speciale delle Nazioni Unite (rappresentante femminile USA!) che, in barba a ogni avviso, ha continuato a perseguire una soluzione basata su una fine pacifica della crisi con la smilitarizzazione delle milizie jihadiste. Cosa che peraltro è stata da sempre contrata da Daëch.
Inoltre, considerando la pesante reazione aerea egiziana, dopo la decapitazione di 21 dei suoi cittadini cristiani (copti), c’è da aspettarsi un rapido spostamento del fronte Jihadista dello "Stato islamico" verso il confine occidentale con la Tunisia.
La Tunisia, che non ha molte scelte perché non ha né un esercito di due milioni di uomini come l’Egitto, né interessi strategici e energetici da barattare, dovrà rimanere estremamente attenta e vigile per non cadere anche lei nelle sabbie mobili di un magma quanto mai prevedibile. Se l’avanzata di Daëch nei prossimi giorni si orienterà verso la Tunisia con un temporaneo ritiro dall’area di confine egiziana, in barba a ogni editto proferito contro l’Italia e l’Occidente Cristiano, i “danni collaterali” di uno spostamento dell’attenzione Jihadista sulla Tunisia, anche riguardo alla particolare situazione interna di cui ho accennato, saranno “non annunciati” e “pesantissimi”!
Tenendo conto, infine, che Il “califfo” al-Baghdadi non potrebbe sperare di meglio che l’invasione armata di ciò che resta della Libia, condotta da ”Crociati” (italiani, francesi e altri europei) e “Apostati Corrotti” (Egiziani, forse Giordani e qualche altro spaurito arabo e africani vari), sono convinto che il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si esprimerà per un “non intervento” e la continuazione della politica della diplomazia: quella USA che sino ad oggi, per preservare i loro interessi energetici nell’area hanno distrutto il Medio Oriente e ora si accingono a distruggere anche il Mediterraneo!
Allora cosa fare? Prima di tutto, non cadere nella trappola dei richiami per un intervento armato occidentale in terra islamica, accendendo nuovi focolai di guerra senza speranza di vincerla. L’Islam non aspetta altro che denunciare al mondo intero una guerra difensiva in ragione di una “invasione” perpetrata da forze occidentali (cristiane e apostati!).
In secondo luogo, ma non meno importante, usare tutta la forza diplomatica esistente per convincere gli USA, i Sauditi e il Qatar a tagliare definitivamente i flussi di denaro che arrivano ai gruppi armati – operazione tutt’altro che impossibile se si vuole veramente lavorare nell’interesse dell’Europa e del mondo arabo modernista. In terzo luogo, colpire in ogni dove le probabili fonti energetiche jihadiste; quindi con ogni probabilità anche i pozzi ENI in Libia.
Infine, ma non a caso, supportare a pieno in tutti i campi di cooperazione possibili e immaginabili (a meno dell’invio di forze armate su territorio islamico) le nazioni del Mediterraneo del sud che palesano necessità di sostegno, prima tra tutte la Tunisia. In parallelo, aprire un fronte di supporto logistico/mezzi (elicotteri) e di consiglieri militari con l’unico possibile interprete di un’azione di “contenimento” in Libia: le Forze Armate Governative, che al momento difettano anche di leadership. Ma, sia ben chiaro, più affidabile di questa entità, in Libia non c’è nessuno se non l’Islam salafita del Califfato! Sempre nella speranza che l’unico Dio delle tre religioni monoteiste questa volta tenga a proteggere la pace nel mondo anziché una guerra in suo nome all’insegna della “sottomissione”, così com’è scritto nel Corano (da non dimenticare!).
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