Secondo il Segretario Generale, on. Roberto Menia, “in Libia si sta di fatto aprendo una fase due e la nomina del nostro ambasciatore rappresenta un passaggio significativo e strategico”, osserva. “La premessa rappresentata dai 30 giorni di attacchi da parte di Usa e forze europee è certamente imprescindibile perché in questo modo si gettano le basi per una possibile soluzione del caso libico, che passi da una normalizzazione istituzionale. Ma a questo punto va evitato il rischio che le contrapposizioni tra Tripoli e Tobruk possano sfociare in uno scenario disarticolato come una divisione in stile muro di Berlino, con tre zone di influenza, contrapposte e frazionate. Sarebbe quello il momento in cui l’Isis vedrebbe riconosciuto il proprio effetto destabilizzante nell’intera macro area. In questo pertugio si inserisce la lieta e costruttiva notizia della prossima riapertura della nostra sede diplomatica guidata da Perrone”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il reggente del Ctim Libia, Francesco De Palo, animatore del blog Rete Libia nato dopo il seminario promosso in Senato lo scorso 19 aprile in cui, per la prima volta assieme, si sono confrontati i due rappresentanti di Tripoli e Tobruk a Roma con la regia della Camera di Commercio Italolibica.
Secondo De Palo il gravoso compito che attende l’ambasciatore Perrone è di di una estrema delicatezza, dal momento che “l’operazione militare avviata dagli Usa in Libia ha come primo effetto quello di legittimare il governo di Al-Serraj e al contempo di eliminare fisicamente il primo strato di milizie del Califfato nel Paese”. Al fine, però, di “evitare errori del passato e soprattutto di comporre il medesimo (e deleterio) schema che sta andando in scena in Siria, sarebbe utile pianificare anche una strategia politica vera e articolata, che affianchi (a magari guidi) l’intervento di droni e caccia”.
E’la ragione per cui il contributo italiano secondo De Palo “potrebbe essere strategico non solo al fine di abbozzare una forma di dialogo con Tobruk e Bengasi, ma anche in merito ai crediti maturati dalle imprese italiane in Libia e che, nonostante il Trattato di amicizia italolibico del 2008, non sono stati restituiti alle aziende del nostro Paese. A seguito di quel passaggio burocratico il Governo italiano avrebbe dovuto accantonare 225 milioni di euro all’anno e invece ancora oggi quelle imprese attendono ancora il dovuto. Ci auguriamo che la riapertura della nostra sede diplomatica possa rappresentare l’occasione anche per fare luce su questa vicenda”.
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