Le notizie del giorno sulla Libia sono due. La prima la dà il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che alla Camera dice che "l’unica soluzione possibile è quella diplomatica" e pone così fine alle speculazioni di questi giorni relative a presunte aperture del governo a un intervento militare. La seconda arriva dalla responsabile della Difesa, Roberta Pinotti, che a Repubblica Tv rilancia il nome di Romano Prodi come papabile inviato Onu: "Noi appoggiamo Leon, ma diciamo che bisogna salire di livello".
In Parlamento, Gentiloni scandisce bene che "l’unica soluzione è quella politica" ma accusa le eccessive lentezze delle diplomazie internazionali: "Mentre la trattativa prosegue la situazione si fa più grave: si aggrava il dramma delle migliaia di persone che fuggono via mare verso le nostre coste" senza contare che "è evidente il rischio di saldatura tra gruppi locali e Daesh, per cui serve la massima attenzione".
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Per il ministro la recente escalation (attentato all’hotel Corinthya, assalti agli stabilimenti petroliferi e uccisione dei 21 egiziani copti) ha perlomeno avuto il merito di produrre "una presa di coscienza dell’importanza della situazione in Libia: il primo importante appuntamento è il Consiglio di Sicurezza dell’Onu di oggi, e stiamo lavorando perché la missione Unsmil dell’Onu venga dotata di mezzi e risorse per stimolare un clima di riconciliazione e di unità nazionale in Libia". Da parte italiana "siamo pronti a contribuire al monitoraggio del cessate il fuoco, al mantenimento della pace, alla riabilitazione delle infrastrutture, all’addestramento militare e a riprendere il vasto programma di cooperazione con la Libia sospeso la scorsa estate per via della guerra. La popolazione deve avere chiari i vantaggi di un cessate il fuoco, ma è necessario un cambio di passo della comunità internazionale".
Pinotti, che parla invece a Repubblica Tv, spiega innanzitutto che "in Libia in questo momento non si può parlare di una invasione dell’Isis. Di una infiltrazione, questo sì, soprattutto a Derna e Sirte, mentre diversa è la situazione di Tripoli dove c’è stato l’attentato all’hotel Corinthya". Quindi ricorda che "per molti mesi siamo stati gli unici a tenere aperti l’ambasciata in Libia, anche per un sentimento di vicinanza che abbiamo storicamente con la Libia, ma ora i rischi si sono elevati al punto che la nostra presenza non era più utile, ma anzi poteva diventare pericolosa. L’ambasciata poteva diventare un bersaglio".
Ma è quando il ministro parla dei tempi di lavoro delle diplomazie internazionali che si avvicina la notizia: "L’obiettivo della missione dell’inviato Onu Bernardino Leon è quella che in Libia le parti in causa si parlino" spiega, ma "la diplomazia sta lavorando da mesi ma ci sono lentezze, mentre davanti a noi c’è una situazione che non deve lasciarsi andare: la Libia non è ancora un pezzo del Califfato, ma non deve diventarlo". E allora, ecco il punto: "Noi appoggiamo Leon ma diciamo anche che bisogna salire di livello, ma poi le scelte sui nomi devono essere condivise". Certo però che, per esempio, "Prodi conosce molto bene la situazione in Libia, è una persona che per esperienza politica conosce perfettamente l’Africa, ha rapporti con Russia e Cina e creato legami internazionali che potrebbero essere utilissimi. Potrebbe essere una persona centrale".
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