Daniel Libeskind non ama essere definito un “architetto decostruttivista”, perché a lui non piacciono le etichette. Ma “chissenefrega” di come viene chiamato dalla “critica” importante. Il fatto è che in Italia, pare che, dopo l’ardito Brunelleschi, non esistano più architetti innovatori degni di tale titolo. Oddio, con l’esperienza dei lavori espressi da alcuni eminenti architetti italiani di grido, di incredibili oscenità (vedi il Cubo-Chiesa di Foligno, il “Bacarozzo-Auditorium” o la Teca-Garage di Roma) ce ne sono e se ne continuano a costruire, ma tutto sommato meglio pagare i lavori in casa che fuori, dipendendo il tutto dai politici che commissionano le grandi opere, sostenuti dai critici-commercianti-tuttofare.
Io ci sono stato al museo ebraico di Berlino e debbo dire che sono stato scioccato oltre che per il contenuto, peraltro risaputo, anche per la sconclusionatezza della cosiddetta “Opera architettonica” dell’insigne Libedkind. Non c’è nè capo nè coda: non si sa dove inizia e dove finisca il museo, tra un incrocio di piani sconclusionati con una mancanza assoluta di storiografia e consecutio logica del racconto che “avrebbe” dovuto rappresentare. Gli addetti del posto hanno asserito che è quello che il “museo” intendeva proporre: cioè una mancanza di racconto, ma soltanto dei flash sovvertiti nel tempo ed accomunati nelle ere, senza una organizzazione espositiva… Morale: non si capiva quello che si voleva “ricordare” (un Museo serva anche a questo) o a far capire.
Teche chiuse di vetro, quadri, foto, video sparsi per l’intero percorso che danno alla fine, al visitatore, l’incertezza di aver visitato il museo nella sua completezza. “Si va di là? No là ci siamo stati!” questo si sentiva dire dai turisti.
Sarebbe ora che i politici che pagano e i critici post-moderni avessero la forza di contestare questa assoluta pazzia espositiva e riportare la Scientia dell’Architettura allo scopo per cui si è sviluppata: quella funzionale. L’Architetto “deve” per prima cosa essere un tecnico al servizio del committente; deve creare un qualcosa che risponda alle esigenze del cliente, possibilmente economicamente, creando il tutto in forma artistica. Non è, l’Architetto, un puro artista (come il pittore o scultore) fine a se stesso, che fa due righe segmentate, o curve a seconda del proprio stile e poi ci mette dentro un progetto di cui, poi, gli ingegneri elaboreranno i calcoli costruttivi.
Domando: perché quegli edifici che ha progettato Libeskind per l’area dell’ex Fiera, hanno le pareti storte con assurde coperture ed immense vetrate pure loro storte? Solo per rispettare un certo stile dell’Architetto! Che tra l’altro è orrendo! E per far vedere che Milano non è paesana e segue la “moda” degli architetti pure stranieri di grido. Ma questo è il vero provincialismo. Vedi il MAXXI di Zaha Hadid di Roma che non serve a niente o l’Auditorium-bunker di Niemeyer a Ravello!
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