Signor Presidente,
come 12° Capo dello Stato, ci rappresenta dal febbraio 2015 e con molto equilibrio. Ciò premesso, nell’evoluzione di quest’anno tormentato, ho sentito il bisogno di scriverLe perché quando penso all’Italia, con i tanti suoi problemi, è la figura del Primo Cittadino della Penisola che mi viene in mente. Nel vagliare i temi nazionali, in un momento tanto complesso, e non solo sotto il profilo politico, m’è sembrato normale rivolgere il mio pensiero a Lei che ci rappresenta tutti.
La lingua di Dante s’è diffusa per il mondo. Soprattutto per necessità. Sono stati i nostri emigrati a portarla lontano; pur mantenendo, nel contempo, il loro spirito d’italianità.
Essere lontani dal Bel Paese non significa, e non ha mai significato, essere estranei ai fatti di Casa. L’Italia è degli italiani; indipendentemente da dove vivono. Perché, partendo, hanno solo cambiato il cielo, ma non il loro cuore.
Con questa convinzione, che ho fatto mia da tanti anni, resto fedele allo spirito d’appartenenza e al desiderio di mantenere l’italianità sempre coerente. Anche nelle contrade più lontane. Solo in parte, mi conforta l’evidenza che la percentuale maggiore di nostri Connazionali ora vive in Europa. Certo è che per quest’Umanità nel mondo molto resta ancora da fare. Mi rivolgo, di conseguenza, a Lei per avere segnali di conforto e di speranza.
Sì, Signor Presidente, facciamo pure nostri i problemi dei connazionali all’estero. Perché non trascurando i loro, potremo, forse, anche risolvere quelli interni al nostro Paese.
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