Sicuramente lo scenario rapidamente in evoluzione sul fronte della riforma elettorale, dopo la debacle dell’accordo alla Camera, rimette in discussione non solo i capisaldi ma la tenuta del testo stesso e certamente il timing del ritorno alle urne, ma questo non può e non deve essere inquadrato come un’occasione persa, piuttosto come un’opportunità per collimare le istanze del Paese e le sue priorità all’offerta politica.
Il quadrumvirato elettorale è ovviamente saltato sebbene apparisse inossidabile lo scorso week end con un’accelerata in commissione a Montecitorio, ha dimostrato la sua debolezza intrinseca che, dati i soggetti coinvolti e l’insofferenza che li contraddistingue, non poteva rimanere latente per così tanto tempo.
Ma il sipario di ieri a Montecitorio probabilmente è al tempo stesso monito e indicazione per quelli che saranno gli sviluppi futuri, non solo sul versante meramente elettorale ma anche su quello dell’urgenza di rimodulare un adeguato e nuovo progetto politico per il Paese che l’arroccamento sulle posizioni dei 4 partiti maggioritari avrebbe potuto anche compromettere.
Certamente non sono mai stato tra i sostenitori del quadrumvirato elettorale, ma nei fatti ciò che si era costruito nelle scorse settimane era rappresentato dal male minore, vale a dire una maggioranza parlamentare unita da una disponibilità riformatrice.
Ho sempre sostenuto l’urgenza di una riforma elettorale e per quanto potessero essere discutibili alcune trovate del modello similtedesco, ho dato priorità al rispetto del lavoro in corso. Sarebbe stato demagogico speculare sull’iter ed accodarsi ad eventuali malumori espressi, per questo non ne ho fatto un discorso personale ma sempre e comunque orientato verso la salvaguardia del migliore percorso di rappresentanza democratica perseguibile e raggiungibile in questo determinato momento. Il senso di responsabilità verso il Paese non è qualcosa a cui attingere à la carte ma prevede coerenza e continuità, cosa che ho inteso fare malgrado tutto.
Cosa accadrà al testo? Lo scenario è piuttosto vivace così come le possibilità attualmente in cantiere. Certamente il testo subirà importanti modifiche, si millanta comunque un ritorno anticipato alle urne con il consultellum ed un totale affossamento della legge tratteggiata in queste settimane di sforzo quadrilaterale, così come si è osato parlare di riforma per decreto legge ignorando la priorità inderogabile dell’iniziativa parlamentare sul tema che creerebbe un precedente pericoloso in ragione della materia delicata: sono dell’opinione che rivedere il testo sia un bene, ma buttare il bambino con l’acqua sporca sarebbe un segnale poco responsabile da parte della politica.
Credo che la pagina oscura parlamentare vissuta ieri, tra franchi tiratori, misunderstanding tecnici e tabelloni rivelatori sia un’occasione per rivedere il progetto politico, ed evitare che nella corsa per il confezionamento di una legge a ritmi serrati si perda comunque qualcosa per strada.
Al momento la priorità resta comunque quella di inquadrare il sistema più adeguato per andare al voto, perché anche se si optasse – obtorto collo – per il consultellum questo per essere immediatamente applicabile meriterebbe qualche correttivo tecnico, anche perché lo stesso Quirinale auspica da mesi l’armonizzazione tra i sistemi vigenti per le due Camere, sebbene nei fatti preferirebbe l’approdo ad una riforma.
La parentesi elettorale di queste settimane ci ha offerto anche una nuova prospettiva dell’equazione maggioranza di governo-maggioranza pro-riforma elettorale, e partendo da questo punto anche la querelle che ha coinvolto Alfano, il cui lavoro di Ministro è di tutto rispetto, è stata sicuramente ingenerosa, ma è figlia di questa congiuntura e bisogna prenderne atto.
Attualmente l’ipotesi di andare alle urne anticipatamente sembra sfumata così come il patto quadrilaterale, appare presumibile l’approdo al termine costituzionale della legislatura e con esso la possibilità di poter lavorare ad un processo di coinvolgimento democratico e di partecipazione dei cittadini che al momento si sentono poco rappresentati, con un’offerta politica adeguata che miri a puntare all’anima moderata della società civile.
Certamente in questo vivace bailamme non poteva sfuggire il ciclico e scontato “trascinamento” della legge Tremaglia, motivato dalla presunta inutilità della rappresentanza parlamentare estera nello scenario politico – rappresentativo nazionale, ma come al solito il combinato disposto di mancanza di argomenti e pregiudizio analitico hanno condotto ad esiti macchiettistici, arenatisi nel momento stesso in cui sono stati proposti.
L’ancoraggio del depennamento della legge Tremaglia all’attuale riforma elettorale, indipendentemente dall’esito di questa, pecca di seria amnesia legislativa considerando che l’assoluta non assimilabilità dei livelli sotto il profilo formale (da un lato legge costituzionale dall’altro legge ordinaria), sia l’eclatante vulnus democratico che una soppressione della circoscrizione determinerebbe, ma c’è anche da dire che questa ipotesi non è assolutamente emersa in sede parlamentare, anche perché il contrario avrebbe sollevato più di qualche perplessità in termini di competenza, opportunità e pertinenza, in un momento in cui le questioni in ballo afferiscono a ben altre priorità.
Al di là di come sia andata poi alla Camera e di quello che sarà il più o meno infelice percorso della riforma, il modus elettorale nella Circoscrizione estero non avrebbe alcun tipo di cambiamento, ma questo non vuol dire che qualche modifica non sia auspicabile, e questo lo ripeto da sempre, ma al netto di qualsivoglia demagogia, i tempi stretti che ci separano dal ritorno alle urne e l’esigenza di pianificare funzionalmente le consultazioni all’estero rendono altamente improbabile che una qualche rettifica possa avvenire sul breve-medio periodo anche nella direzione, trasversalmente condivisa, di introdurre meccanismi di maggiore trasparenza del voto, che sono aspetti di natura meramente operativa e che non sfiorano minimamente la sussistenza della tutela di un diritto inalienabile come l’esercizio del diritto di voto oltre confine. Ma attenzione ai sofisti del cambiamento inteso in senso più retorico che funzionale, perché se cambiare in nome di una presunta maggiore trasparenza o controllo significa sacrificare l’elettore e l’affluenza al voto, allora tanto vale lasciare il sistema attuale e la sua capacità di pragmatico coinvolgimento.
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