Anche in questa Legge di Bilancio 2023, come solitamente accade in tutte le Leggi di Bilancio (con alcune rare eccezioni), in materia pensionistica non ci sono provvedimenti espliciti e diretti per gli italiani all’estero. Tuttavia, alcune delle disposizioni previste nel testo che sarà ora discusso in Parlamento incideranno sui diritti dei nostri connazionali residenti all’estero.
In questo comunicato mi è sembrato utile esaminare alcune nuove misure che sollevano interrogativi e perplessità in materia di diritti previdenziali ed esigibilità degli stessi per gli italiani all’estero.
QUOTA 103: la legge di bilancio per il 2023 non rinnova Quota 102 (che però rimane in vigore per chi ha maturato i requisiti nei tempi previsti) ed introduce invece Quota 103 e cioè la pensione anticipata, che si può ottenere quindi prima del compimento dei 67 anni di età previsti dalla pensione di vecchiaia, a patto che si faccia valere un requisito anagrafico di almeno 62 anni e un requisito contributivo di almeno 41 anni di contributi. Il requisito contributivo di 41 anni – in virtù di quanto stabilito dalle convenzioni internazionali di sicurezza sociale stipulate dall’Italia – è perfezionabile anche tramite il meccanismo della totalizzazione dei contributi versati in Italia e all’estero. Quindi se un nostro connazionale ha versato, per esempio, 10 anni di contributi in Italia e 31 anni all’estero ed ha compiuto i 62 anni di età, potrà richiedere e ottenere un pro-rata di pensione italiano calcolato sugli anni versati in Italia (a prescindere dal fatto che sia già pensionabile o meno nel Paese di residenza). Non sono previste penalizzazioni sul sistema di calcolo della pensione e sono confermate le regole applicate finora a Quota 100-102, ossia le finestre mobili di uscita pari a 3 mesi nel settore privato e 6 mesi nel settore pubblico.
Problemi e confusione potrebbero però affiorare per gli italiani residenti all’estero interessati a questa nuova pensione anticipata: innanzitutto perché è previsto dalla legge una limitazione sull’importo massimo dell’assegno che si può percepire che non deve essere superiore a cinque volte la pensione minima: non è ancora chiaro se nel calcolo di questo vincolo sulla misura del trattamento fruibile sarà computabile anche l’eventuale pro-rata estero (chiederemo quindi chiarimenti al Governo); in secondo luogo perché per aver diritto al trattamento anticipato è necessaria la formale cessazione del lavoro ma visto che all’estero l’età pensionabile del Paese di residenza potrebbe essere posticipata rispetto a quella italiana e gli interessati sarebbero quindi costretti a continuare a lavorare all’estero, la nuova pensione anticipata italiana non verrebbe concessa anche se fossero perfezionati i requisiti contributivi ed anagrafici. Un bel pasticcio.
Sarebbe quindi necessario che per i residenti all’estero il diritto a pensione anticipata non fosse vincolato alla cessazione del rapporto di lavoro.
Altro peggioramento per gli italiani nel mondo (in questo caso le italiane) rispetto alla situazione attuale è previsto dalle modifiche al Sistema “Opzione donna” che risulta stravolto dalle Legge di Bilancio per il 2023.
Infatti “Opzione donna”, e cioè la possibilità per le donne di uscire anticipatamente con il ricalcolo contributivo dell’assegno – perfezionabile con il cumulo dei contributi versati in Italia e all’estero – viene prorogata di un anno per il 2023, per chi fa valere 60 anni di età e 35 di contributi, ma non più per tutte come avveniva finora: viene infatti limitata alle donne che assistono parenti stretti con handicap, o che abbiano una invalidità civile superiore al 74%, o alle lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese in crisi. Tutti requisiti praticamente quasi impossibili da documentare per chi risiede all’estero per ovvii motivi logistici e amministrativi. Una bella fregatura per le nostre connazionali aventi teorico diritto.
E’ stata inoltre prorogata di un anno l’Ape sociale, l’anticipo pensionistico (a 63 anni con 30-36 anni di contributi) per i lavoratori in particolari situazioni di difficoltà (disoccupati, disabili, caregivers, addetti a lavori gravosi, etc.), prestazione che tuttavia non è erogabile od esportabile all’estero e che continua ad essere negata anche agli emigrati che sono rientrati in Italia e che hanno i requisiti richiesti ma sono titolari di una pensione estera.
Infine vale la pena sottolineare l’assoluta irrilevanza dell’aumento dell’integrazione al trattamento minimo sulle pensioni (che ad alcune condizioni viene pagata anche all’estero nei Paesi extracomunitari) a fronte delle altisonanti promesse pre-elettorali da parte dei partiti dell’attuale Governo (si ricorderà che il leader di Forza Italia ne aveva promesso l’innalzamento a 1.000 euro), aumento che sarà invece contenuto in poche decine di euro, sicuramente insufficienti per migliorare le difficili situazioni economiche di milioni di pensionati italiani in Italia e all’estero.