Ero arrivato a convincermi che fosse immortale; forse se n’era convinto anche lui. E invece…
Ho conosciuto la passione politica prima grazie a mio padre e poi a Silvio Berlusconi. “L’Italia è il Paese che amo”: rimasi affascinato da quel messaggio, che iniziava con una frase semplice ma potentissima a livello emotivo: parole che avrebbero cambiato per sempre la storia della politica italiana. E la mia vita.
L’imprenditore, l’uomo del fare, stava scendendo in campo “per salvare l’Italia dai comunisti”. Che tempi. La campagna elettorale del ’94 per me fu qualcosa di straordinariamente godurioso: “Silvio è un grande”, pensai.
Oggi, dopo decenni, nel giorno della scomparsa dello zio Silvio, sento come se ad andarsene fosse stato uno di famiglia. Sarà perché Berlusconi sono anche io, siamo un po’ tutti noi.
Noi che, come il Berlusca, sappiamo essere concavi o convessi a seconda di chi abbiamo davanti; noi che lavorare va bene – perché il lavoro nobilita l’uomo e ci riempie le tasche -, ma la figa è ancora meglio, anche se comandare è meglio che fottere. Noi che siamo tutti self made man e ci sentiamo degli eroi solo perché a volte, magari, l’abbiamo fatta franca, nonostante invece dovessimo rendere conto del nostro comportamento.
Noi che, insomma, siamo italiani cresciuti con la tv commerciale, il calcio opium populi, “Colpo Grosso” di Smaila e il faccione di Silvio in tv.
Un vero maestro della comunicazione, il Cavaliere. Del marketing. Numero uno. Ha imposto un metodo di comunicare che ha portato avanti fino alla fine, protagonista assoluto delle sue promesse elettorali, dei suoi racconti, delle sue barzellette. L’attore principale, sempre: tutto il resto ogni volta è stato solo un contorno. Come quando salì al Quirinale e si mise a scandire con le dita della mano i punti che un Salvini troppo giovane per lui, troppo immaturo a livello politico e istituzionale, stava snocciolando davanti alle telecamere. “Fatti in là Matteo…”.
Berlusconi è l’italiano medio che ce l’ha fatta; è il dottore, il presidente, il Cavaliere. E’ il playboy che sulla spiaggia di Rimini conquista svizzere e tedesche; il piccolo costruttore che sbarca il lunario e si trova padrone di un piccolo impero; è Davide che sfida Golia quando si inventa la tv commerciale e vince contro il colosso del servizio pubblico.
Ho incontrato l’uomo di Arcore tre volte, nella mia vita. Ho potuto stringergli la mano, scambiare con lui qualche fugace battuta, scattare una foto insieme. Ogni volta, a farmi impressione sono stati i suoi occhi penetranti e la sua energia, la convinzione di essere dalla parte giusta, la sua determinazione dettata dal fatto che quello che stava facendo a livello politico era ciò che era necessario fare per il bene del Paese.
Oggi, nel 2023, il ’94 appare lontanissimo, preistoria. Eppure quello spirito, quell’energia, quell’entusiasmo con cui Berlusconi era capace di contagiare tutti, vive dentro ciascuno di noi. Di noi che c’eravamo e abbiamo creduto in un sogno.
Siamo tutti un po’ Berlusconi, ma la verità è che Silvio è unico. Nessuno come lui. Ma dove lo (ri)troviamo uno così? Nemmeno su Marte. Uomini del genere ne nascono uno ogni secolo. Dovremmo attendere ancora a lungo, immagino, perché leader con il suo carisma e la sua statura politica, in Italia, davvero non se ne vedono all’orizzonte.