Un fantasma si aggira per il mondo politico italiano: la competenza. Sì, avete letto bene. La competenza, intesa come quell’insieme di conoscenze ed esperienze necessarie a svolgere un determinato lavoro. La competenza necessaria per portare a termine qualsiasi attività, anzi per riuscire ad intraprenderne una.
In politica, paradossalmente, sta accadendo proprio il contrario. L’ignoranza e l’inesperienza stanno prendendo il posto della gavetta e della preparazione. La giusta esigenza di rinnovamento della classe politica, piuttosto che favorire la crescita di una nuova leva di amministratori e legislatori, ha aperto le porte a una nuova generazione di politici privi di qualsiasi strumento empirico o conoscitivo in grado di incidere positivamente nei propri ambiti di azione.
A furia di criticare la politica e non solo i politici, facendo quasi sempre di tutta l’erba un fascio, rischiamo di regalare il potere agli incompetenti.
Le capacità nel mondo politico italiano sono così diventate una colpa, l’inesperienza un valore aggiunto. Un tempo per diventare parlamentare bisognava fare la gavetta. Erano necessarie cultura e competenze. Oggi il modello è cambiato. La politica non è più una missione, ma un mestiere (“meglio” se temporaneo, magari da intraprendere con il giusto dilettantismo).
Nella scorsa legislatura i deputati laureati rappresentavano il 69 per cento del totale. Nella prima legislatura repubblicana, dal 1948 al 1953, erano il 91 per cento. Oggi la vita politica si affronta senza troppa esperienza, all’insegna del dilettantismo. Il fenomeno è trasversale, sia chiaro, nel tempo e nello spazio. Affonda le sue radici negli anni novanta e culmina, oggi, con l’ascesa del movimento Cinque Stelle.
Deputati e senatori pentastellati sono scelti sulla base di una consultazione in rete contraddistinta da accuse, ricorsi e veleni. È la democrazia diretta, si dirà (anche se l’ultima parola spetta al capo politico, che ha il potere di bloccare ogni candidatura a suo insindacabile giudizio). In corsa per un seggio in Parlamento per i 5stelle alle ultime elezioni c’erano almeno 15mila aspiranti parlamentari, spesso privi di qualsiasi esperienza. Una competizione contraddistinta, in molti casi, dall’incoerenza di chi dopo aver disprezzato per anni la politica adesso sgomita per entrare nel Palazzo.
Tutto il contrario di quanto avveniva in passato. La selezione della classe dirigente nella cosiddetta “Prima Repubblica”, quella nata dalla nuova Costituzione repubblicana, non era casuale. La prova è l’adesione, nel momento in cui si costituirono i partiti, da parte di tanti professionisti: avvocati, ingegneri, magistrati. Persone che decidevano di entrare in politica e abbandonavano la loro esperienza lavorativa. Voglio ricordare Michele Cifarelli, che nel 1945 aderì al Partito d’Azione e si dimise da magistrato per fare il funzionario di partito.
Poi sono arrivati gli anni novanta, con la fine dei partiti tradizionali e l’inizio della personalizzazione della politica. Gli anni del “berlusconismo”; una stagione segnata dalla predominanza dei leader di partito sulle organizzazioni politiche tradizionali. Una lunga epoca che servirà da incubatrice, con i suoi scandali e a causa di una classe politica ostile al rinnovamento, per lo sviluppo dell’anti-politica e dei suoi movimenti.
Ma anche la nuova stagione, quella che viviamo oggi, non è priva di rischi. Una classe politica incompetente rappresenta infatti un problema serio, anche per la democrazia. Soprattutto in un mondo globalizzato dove la concorrenza tra Stati rende sempre più determinante la qualità e la tempestività delle scelte di chi governa.
Tra qualche mese si voterà anche in Brasile. Dall’Italia dovremmo forse mutuare questa piccola ma importante lezione: esigere onestà come pre-requisito, certamente, senza dimenticare però di chiedere ai nuovi politici non soltanto cosa vogliono fare per cambiare il Paese, ma anche se hanno le competenze adeguate per farlo. Perchè sapere è potere, anche in politica.