Cgil, Cisl, Uil e Ugl sono già sul piede di guerra e si preparano per uno sciopero generale sulle “norme da incubo” circa i licenziamenti contenute nella lettera di Berlusconi all’Ue. Dalla parte del governo si prova a stemperare i toni, con il ministro Sacconi che dichiara: "L’obiettivo è assumere, non licenziare. Apriremo presto un tavolo di confronto con le parti sociali, che invitiamo ad approfondire il merito senza pregiudizi", cerca di rassicurare garantendo come sia "falso parlare di licenziamenti facili" e come questo serva "solo a spaventare una società già insicura ma non rappresenti le misure suggerite dall’Europa ed accolte dall’Italia con altre proprie integrazioni".
Brunetta, ieri a Otto e Mezzo, su La7, ha detto che c’è poco da fare e che la norma è quanto richiesto dall’Europa e, pertanto, non può essere disattesa, ma certamente discussa e migliorata. E sia lui ieri, sia il ministro del lavoro oggi, attaccano quanti, soprattutto Cgil e Pd, “dicono no a priori”, mentre occorrerebbe dialogare per trovare soluzioni. Ma anche se tutta la responsabilità è data alla Ue e alla crisi di portata planetaria, è dal 2001 che Berlusconi tenta di modificare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Allora fu costretto a rinunciare dopo un duro scontro con la Cgil e le opposizioni. Adesso ci riprova. L’idea è quella di intervenire sui licenziamenti per motivi economici che, in teoria, rientrerebbero nella fattispecie del “giustificato motivo oggettivo” e quindi sarebbero consentiti, ma nei fatti sono difficili da attuare per i troppi vincoli posti dalle norme, a partire dall’onere per il datore di lavoro di dimostrare l’esistenza del motivo economico, convincendo il giudice che questo sia giustificato (altrimenti scatta il reintegro nel posto di lavoro, come prevede l’articolo 18). Se si stabilisse invece, in questi casi, una maggiore facilità di licenziamento in cambio di un adeguato indennizzo economico al lavoratore, le aziende assumerebbero di più, sostiene ora il governo. Ma i sindacati non sono convinti e fanno fronte comune.
I leader di Cgil, Cisl e Uil aprono alla possibilità di scioperare tutti insieme, per la prima volta dall’insediamento dell’attuale esecutivo, e Susanna Camusso – che oggi sarà in piazza a Roma con i pensionati e che per il 3 dicembre ha indetto una manifestazione sul lavoro – ritiene “sia giusto in questa fase provare a discutere con Cisl e Uil per provare a ragionare per soluzioni che si traducono anche in iniziative comuni”. La ricomposizione del fronte sindacale, quindi, potrebbe diventare presto una realtà, una difficile realtà per un governo già traballante. Oltre tutto le sigle sindacali rincarano la dose, chiedendo al governo di favorire la previdenza integrativa, riducendo le tasse per incentivare l’adesione obbligatoria ai fondi integrativi, di approvare subito la delega per la riforma fiscale, introdurre una patrimoniale permanente sui beni immobiliari e mobiliari (escludendo la prima casa), abbattere i costi della politica, ridurre i livelli amministrativi, vendere il patrimonio immobiliare dello stato, liberalizzare i servizi pubblici.
Parlando dei licenziamenti facili previsti dalle misure annunciate nella lettera alla Ue, Berlusconi ha detto che per i lavoratori licenziati ci sarà la cassa integrazione ed ha aggiunto: “Ci siamo impegnati a rendere più efficienti gli strumenti di sostegno al reddito, e i dipendenti troveranno nello Stato la garanzia di essere remunerati con la cassa integrazione e di avere il tempo di trovare un altro lavoro". Inoltre commentando le proteste dei sindacati ha dichiarato: "Ci siamo ispirati a un ddl del senatore del Pd, Ichino". Ha infine escluso elezioni anticipate e governi di larghe intese, ma forse la serrata dei sindacati gli crea più apprensioni delle lamentele della Lega.
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