262 morti italiani su un totale di 274 uomini presenti nella miniera. Sono i numeri della tragedia di Marcinelle, la catastrofe che ha segnato due storie europee: quella dell’emigrazione italiana e quella della sicurezza sul lavoro nel Vecchio continente. Dopo quel maledetto 8 agosto 1956, molte cose sono cambiate per i lavoratori italiani emigrati e non e per l’Europa, perché quella tragedia che ha fortemente colpito l’opinione pubblica di allora, spinse i parlamenti dei più importanti paesi europei a una riflessione sul mondo del lavoro e ad accelerare su un riformismo
fatto di affermazione dei diritti della Persona, sicurezza sul lavoro e costruzione di quello stato sociale che fa dell’Europa uno dei luoghi più avanzati al mondo.
Da allora la sicurezza sul lavoro è migliorata, sono stati pensati nuovi piani di sicurezza, rilanciata una forte presa di posizione per i diritti dei lavoratori che portò, quattordici anni dopo Marcinelle, anche l’Italia a un importante passo in avanti con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori: storia che oggi appare più lontana di quanto sia realmente. Provo, infatti, a dare qualche cifra: gli Stati Uniti, Paese in guerra in Afganistan e Iraq, solo dal 2007 al 2011, tenendo presente entrambi i focolai del conflitto, registrano una media di 314 militari caduti
annualmente. Nello stesso periodo, che corrisponde alla nostra ultima legislatura, l’Italia conta una media annua di morti bianche di 1090 lavoratori, quasi 3 al giorno e più di tre volte il totale di tutti i morti americani in guerra e per ciascun anno dal 2007 al 2011: dunque si muore meno in guerra che al lavoro.
Confrontando questi dati agghiaccianti, quindi, mi viene da dire che il nostro Paese è in guerra, in una terribile guerra civile entro i nostri confini e all’interno del mondo del lavoro. E considerando il dibattito in corso sull’articolo 18, ormai assunto a termometro di misurazione del riformismo del Governo Monti e del PD, mi viene da pensare che a Sinistra qualcuno stia sbagliando direzione, smarrendo la bussola. Con questi dati, che non sono numeri anonimi, ma vite spezzate, persone morte, tragedie familiari (anche economiche), come possiamo pensare di misurare il nostro tasso di riformismo partendo dall’articolo 18 e dalla facilità con cui licenziamo? Credo invece che dobbiamo invertire le priorità, cominciando noi del PD a misurare il riformismo di questo Governo (e quello del nostro Partito) non sulla capacità di dire con quale facilità licenziamo senza giusta causa, ma su quella di ridurre l’enorme numero di morti bianche, sicuramente tutte per ingiusta causa. Solo dopo, possiamo parlare di articolo 18.
*responsabile del Pd nel mondo
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