Sono anni che la pressione fiscale in Italia non accenna a fermarsi. Ogni qualvolta un politico usa queste parole non lo fa più con il sorriso, come Silvio Berlusconi quando prometteva di abbassarla. Oggi abbiamo l’eurocrazia al potere e quando escono in tv i nostri rappresentanti sappiamo già non saranno buone notizie. "Sacrifici, equità, riduzioni, tagli, tasse più salate, criteri per la quiescenza inaspriti", è questo il nuovo lessico dell’austerità, del rigore e della serietà. Oserei chiamarla "grammatica dell’orrore", ma non dilunghiamoci.
Apprendo assuefatto che i salari di marzo 2012 saranno ancora più bassi. Il carnefice questa volta si chiama "conguaglio dell’aumento delle addizionali Irpef 2011" accompagnato dall’acconto del trenta per cento delle addizionali comunali Irpef già approvato in 300 comuni, che come una accetta falcidierà i nostri stipendi.
Le ore autorizzate in febbraio di cassa integrazione sono state 82 milioni con un balzo in avanti rispetto a gennaio 2012 del 49,1%.
Il mercato del lavoro è sempre più depresso, molti settori economici sono in vita con l’ossigeno. Lo Stato resta al capezzale di un mercato "malato", che non ha bisogno di sussidi nè di incentivi. Urge partire dall’ultimo anello della catena per fare carburare la produzione. Ai consumatori non basta sapere che lo spread scende per tornare ad investire e spendere, hanno bisogno della certezza di un posto di lavoro, di nuovi accordi collettivi per scomettere sulla crescita in modo tale da rinvigorire gli stipendi.
Abbiamo l’occasione di ridisegnare un patto sociale che punti a farci uscire dal pantano in cui ci siamo cacciati. Le polemiche sull’Art. 18, retribuzioni striminzite, incertezza sul futuro, non aiutano la classe media a ritrovare la forza e la fiducia necessarie a credere in un domani migliore investendo oggi, mattone su mattone, i propri risparmi per assicurarsi progresso individuale ed indirettamente sviluppo collettivo.
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