L’Italia avrebbe bisogno di giovani qualificati, ma ogni anno nascono sempre meno figli. Una volta laureati se ne vanno all’estero e quelli che chiedono di diventare italiani lo fanno solo per avere un passaporto che consenta loro di andare altrove.
Anche chi emigra dall’Africa o dal Medio Oriente usa l’Italia come paese di approdo e nella maggior parte dei casi chi ha una qualifica non rimane. Quanto possiamo tirare avanti così?
Il pacchetto cittadinanza ha messo ordine in una materia sfuggita di mano
Il Consiglio dei ministri ha fatto bene a varare i decreto «pacchetto cittadinanza» per riformare la disciplina al riguardo e per «valorizzare il legame effettivo tra l’Italia e il cittadino all’estero».
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sostenuto che «non verrà meno il principio dello ius sanguinis e molti discendenti degli emigrati potranno ancora ottenere la cittadinanza italiana», ma bisognava porre un limite per evitare gli abusi della «commercializzazione» dei passaporti e dei visti italiani.
In base al nuovo decreto gli italo discendenti sono considerati cittadini italiani solo per due generazioni. Quindi solo chi possa dimostrare di avere un nonno o una nonna nati in Italia e cittadini italiani sarà lui stesso cittadino italiano.
Questo nipote di italiani dovrà tuttavia mantenere un legame reale con il nostro Paese, almeno esercitando diritti e doveri per una volta ogni venticinque anni. Ci si riferisce per esempio al diritto/dovere di voto.
Dal Sud America bisogna incentivare un’immigrazione realmente qualificata
Con la nuova legge non saranno più i consolati a occuparsi di queste pratiche, ma un ufficio apposito del Ministero degli Esteri. È previsto anche un incremento di spesa per la pratica che passa da 300 a 600 euro e arriverà a 700.
Tajani ha precisato che con la nuova legge non si vuole punire chi vuole tornare in Italia.
«Rafforzeremo anche il sostegno all’immigrazione di ritorno, anzi li incentiviamo a farlo. Ma non possiamo incentivare imbrogli o la finta cittadinanza», ha dichiarato il responsabile della Farnesina.
Questa ultima precisazione è rilevante, perché il decreto ha bloccato di fatto un potenziale incremento della popolazione italiana in età produttiva.
Non solo giovani in cerca di occupazione, ma anche personale qualificato in cerca di un miglioramento delle proprie condizioni di vita e magari anche con capacità imprenditoriali.
Tutta gente che all’Italia tornerebbe utile a fronte del problema della decrescita delle nascite e della fuga di oltre 500mila giovani tra laureati e diplomati negli ultimi anni.
Purtroppo è tutto da vedere se e quanti di quelle centinaia di migliaia di cittadini americani, di “larvate” origini italiane, siano attratti dall’Italia o dal solo passaporto.
Chi migra dall’Africa e dal Medio Oriente usa l’Italia come approdo e passaggio verso altre mete
Questo è il punto. L’Italia non attira giovani sul proprio territorio. Neanche tra coloro che richiedono la cittadinanza. Se ci si pensa bene è la stessa storia dei migranti che arrivano da Africa, Asia e Medio Oriente. Vengono in Italia perché è una delle vie di accesso all’Europa più dirette e la maggior parte di chi migra si ferma per il tempo necessario ad attraversare le frontiere col nord Europa e ricongiungersi coi propri familiari in Germania, Francia o nei paesi Scandinavi.
Non facciamo niente, o per lo meno non è dato accorgersene, per selezionare questi flussi e integrare chi emigra, per trattenere le persone più qualificate, con titolo di studio, con capacità imprenditoriali.
Lasciati ai margini, molti di loro diventano terreno di caccia per le organizzazioni criminali, che operano sul nostro territorio o tutt’al più finiscono per essere sfruttati come mano d’opera a basso costo nell’edilizia e in agricoltura.
La fuga dei cervelli dimostra che non sappiamo trattenere i nostri talenti
Non attiriamo giovani talenti dall’estero e non facciamo in modo di evitare di perdere anche i nostri giovani più qualificati. Solo nel biennio 2022-2023 sono 100mila i giovani fra i 18 e i 34 anni che hanno lasciato l’Italia. Un numero triplo rispetto a quelli che sono rientrati secondo i dati della Fondazione Nord Est.
Tra il 2011 e il 2023 sono addirittura 377mila i giovani emigrati, cui si aggiungono i pensionai e gli adulti con famiglie che pure stanno sempre più scegliendo l’estero per vivere.
Tunisia, Portogallo e Canarie hanno fatto affari accogliendo i nostri pensionati che almeno in quei paesi trovano possibilità di vita migliori. Perché non si pensano proposte altrettanto vantaggiose per il nostro Sud?
Nel complesso le cancellazioni anagrafiche per trasferimento all’estero sono arrivate a 550mila nel periodo che va dal 2011 al 2023, a fronte di soli 172mila rientri. Una fuga, si dice, “di cervelli” che comporta una perdita di 134 miliardi di euro di capitale umano. Persone su cui il Paese ha investito e che vanno a portare benefici da altre parti.
Stretta nella tenaglia demografica quanto durerà l’Italia?
L’Italia si trova così stretta in una tenaglia demografica. Nel Paese nascono sempre meno figli, quelli più intraprendenti e coraggiosi tendono a partire e trovare altrove in Europa o nel Nord America opportunità professionali. Non abbiamo politiche che li inducano a tornare o che possano attirarne altri e stiamo diventando il Paese più anziano d’Europa.
Si sta prosciugando il serbatoio delle risorse umane migliori.
Non solo, anche quello delle aziende è spesso oggetto delle mire di società straniere, che acquistano i brand italiani, forti della credibilità del Made in Italy nel mondo, per gestire e delocalizzare le strutture produttive e, più lentamente, anche quelle ideative manageriali.
Il Paese si impoverisce.
Dal 2024 l’età media della popolazione dell’UE ha raggiunto i 44,7 anni. Mentre gli Irlandesi sono i più giovani con 39,4 anni di media, noi Italiani abbiamo 48,7 anni. Nel 2023 ogni 1000 residenti sono nati poco più di 6 bambini, un record negativo che tende a peggiorare. In 20 anni abbiamo perso 2,2 milioni di lavoratori sotto i 35 anni d’età e sono raddoppiati quelli sopra i 50 anni. Così per quanto possiamo durare?
Invertire la tendenza al depauperamento per tornare a crescere
Si tratta di affrontare gli specifici problemi uno ad uno ma con politiche sistemiche che possano offrire una possibilità di reciproca integrazione e rafforzamento. Chi se ne va lo fa per via della mancanza di meritocrazia nella nostra società, dell’eccessiva burocratizzazione e degli stipendi troppo bassi. Un giovane ha molte difficoltà a costruire una famiglia in Italia.
A fronte di tante specificità di cui ancora il nostro Paese gode nell’arte, enogastronomia, artigianato di lusso, tecnologia, ricerca spaziale e medica, non c’è una offerta che sfrutti tutto questo potenziale in grado di trattenere o attirare giovani. La chiave sta tutta nel saper attirare talenti: trattenere i nostri, aumentare le nascite (agevolando con servizi e aiuti la nascita di nuove famiglie) ma anche agevolare una immigrazione qualificata e formare i nuovi cittadini nelle nostre scuole e nella nostra società.
Perché non regolarizzare gli 800mila giovani figli di stranieri che vivono e studiano in Italia? In questo caso abbiamo a che fare con cittadini che sono e si sentono più italiani dei loro genitori e spesso anche di atri Italiani. Sono minorenni che non conoscono neanche il paese di origine della loro famiglia. Il mondo è cambiato velocemente e le leggi faticano a stare dietro ai cambiamenti. Ma non si può disattendere i diritti di questi giovani cittadini, tanto più se vanno nella direzione di risolvere un problema sempre più grave del Paese.
Partnership tra Italia e Paesi dell’America Latina per favorire la crescita di entrambi
Noi abbiamo il know how ma abbiamo pochi giovani. I paesi dell’America Latina hanno spesso i giovani ma con scarse conoscenze tecnologiche. Partiamo da qui, per verificare quanti di quei richiedenti la cittadinanza italiana volessero partecipare a progetti di sviluppo, a start up produttive, a iniziative comuni supportate dall’Italia assieme agli Stati latino americani, per avviare collaborazioni nel campo della gastronomia, dell’arte, del restauro, della moda, e così via. Il vento del cambiamento non si ferma, conviene gestirlo.
Nel campo gastronomico noi come paese potremmo fare molto nell’agevolare imprese straniere a noi legate, nella produzione enologica e alimentare. Pensare che si creino dei concorrenti è miopia.
Se un business legato al brand Italia funziona si farà lo stesso, a prescindere da noi. Tanto vale gestirlo con consulenze, macchinari, tecnologia, scambi bilaterali. Il mondo non è parcellizzato. I confini non sono barriere insuperabili o per forza un terreno di scontro.
Possono essere occasione di collaborazione. Nel nostro futuro non ci deve essere il conflitto per la supremazia ma la collaborazione. Non dobbiamo “diventare grandi ancora” ma “crescere insieme”. Non i dazi ma lo scambio sempre più aperto. Non dobbiamo pensare di primeggiare perché Italiani e occidentali. Nessuno è primo. Siamo tutti sullo stesso pianeta ad affrontare problemi che sono sempre più simili, come quello del cambiamento climatico e delle pandemie e da soli nessuno è in grado di risolvere nulla.