di David Allegranti – Public Policy
Dicono che Mario Draghi è molto arrabbiato. E ne ha ben donde. A giugno ballano quasi quaranta fra scadenze e target delle 100 previste dal Pnrr (nel 2021 erano 51) per ottenere i finanziamenti europei, ma la maggioranza di Governo – soprattutto Lega e M5s – è impegnata in operazioni pre-elettorali.
Una sorta di LC, Logoramento Continuo. E Draghi non ci sta, comprensibilmente. Le discussioni non mancano, dalle concessioni balneari – sulle quali l’Europa ci richiama da tempo – alla guerra.
I fronti da contenere sono tanti, il presidente del Consiglio da qualche settimana sta assistendo a un aumento degli attacchi da parte soprattutto di Giuseppe Conte, il cui partito – il M5s – è in profonda crisi e sta cercando un modo per risollevarsi. Non arriverà dalle amministrative, tuttavia, la via d’uscita. Il Corriere della Sera ha calcolato che il M5s si presenterà alle Comunali soltanto in 64 Comuni su 978, il 6,5 per cento. L’anno scorso erano 103. Per non parlare di Matteo Salvini, che ormai vede la competizione con Giorgia Meloni come l’unica possibile. Non con il centrosinistra, ma con la leader di Fratelli d’Italia. Il perché è evidente. Meloni ha un ottimo rapporto con Enrico Letta, segretario del Pd. La settimana scorsa erano persino a presentare un libro di Giovanni Orsina insieme, alla Luiss. Salvini teme che Meloni possa continuare a crescere, beneficiando del suo ruolo all’opposizione che le consente di prendere posizioni forti senza dover rendere conto alla maggioranza.
Ma non c’è solo questo. Marcello Pera, filosofo e già presidente del Senato, è convinto che Meloni sia semplicemente “più brava” del leader leghista. Il che non fa bene all’umore dell’ex ministro dell’Interno, in preda a se stesso e agli umori del centrodestra, dove non si fanno mancare niente. Adesso c’è persino una furibonda discussione dentro Forza Italia, con Silvio Berlusconi assai offeso per le critiche di Mariastella Gelmini.
E Draghi? È, appunto, preoccupato. Perché le bagattelle politiche non fanno per lui, ma non può farne a meno. C’è sempre un limite di compatibilità fra i partiti e i tecnici e probabilmente è già stato raggiunto. Si tratta di capire se questa compatibilità risicata permetterà di arrivare almeno al 2023 o se il presidente del Consiglio finirà per essere stritolato dal sistema che ha cercato di anestetizzare nell’ultimo anno e mezzo.