Per l’ABI – al netto di spese, perizie e adeguamenti BCE di settembre – i tassi dei mutui per la casa sono ormai vicini al 5%, ma in un solo mese c’è stata una contrazione dei contratti del 3,3% che su base annua vuol dire la riduzione di un terzo delle pratiche. Ancor peggio i prestiti alle imprese, ridotti in un mese del 4% segno che anche le aziende non possono più permettersi di investire.
Interessante notare che l’ABI ammette che i tassi pagati dalle banche alla clientela sui depositi si attestano allo 0.8% medio – ovvero una miseria – senza significativi incrementi e nonostante i dieci progressivi aumenti del tasso di riferimento decisi appunto dalla BCE.
La “forbice” della stretta creditizia non viene quindi immessa nel sistema privilegiando ad esempio finanziamenti mirati, produttivi o di incremento occupazionale ma resta alle banche che festeggiano con profitti da record semplicemente riversando i soldi raccolti quasi gratis dalla clientela nei rapporti interbancari ben rimunerati o comprando titoli di stato, lucrando così una splendida differenza senza rischi.
Difficile dar torto al governo se si permette di proporre di tassare in modo più pesante questi extraprofitti e non capisco perché l’ipotesi non dovrebbe essere sposata anche a livello comunitario, a vantaggio di spese “mirate” ed applicate da tutti i governi UE.
La BCE insiste con una politica solo sui tassi per frenare l’inflazione (questa almeno la vulgata ufficiale, che pochi si permettono di contestare) quando – nello stesso giorno del report ABI – Confesercenti sottolinea come la spesa alimentare delle famiglie italiane (primo indice del consumo) si sia ridotto nel primo semestre 2023 di 3,7 miliardi di euro nonostante l’aumento dei prezzi: si compra insomma il 10% circa di meno.
Una manovra per combattere l’inflazione sta raggiungendo il risultato di uccidere la crescita, eppure pochi sottolineano questa incongruenza soprattutto quando l’inflazione non è generata da eccessiva domanda a fronte di carenza di prodotti sul mercato, ma dall’aumento di prezzo alcuni beni – come quelli energetici – che non sono un “optional” ma indispensabili per soddisfare bisogni primari o il funzionamento delle imprese che non hanno possibilità di scelte alternative.
Ecco perché appare strano il silenzio dei governi, la rassegnazione della politica rispetto alla BCE, la mancanza di coraggio nell’ ammettere che alla base della spirale inflazionistica ci siano state alcune scelte di campo che si stanno rilevando un boomerang a medio termine, come le decisioni riguardo alla guerra in Ucraina che ha fatto esplodere la crisi energetica e l’aumento delle materie prime.
Una volta di più questo non significa che abbia ragione Putin, ma semplicemente che perpetuare una guerra sta danneggiando pesantemente soprattutto l’Europa e che quindi bisogna far fronte a questa emergenza tentando di risolverla intanto con un armistizio e non solo assistendo passivamente all’andamento della situazione sul campo, di fatto ormai incancrenita, solo progressivamente aumentando le spese militari di cui nessuno dà un rendiconto e spese in un paese sconvolto dalla corruzione.
Troppi paesi extra-UE che non sono legati a queste problematiche nel frattempo crescono e conquistano mercati, spesso insensibili alle tematiche ambientali e con gravi danni per il pianeta, rendendo così nulle scelte europee che però intanto ci auto-danneggiano. Una seria riflessione su questi aspetti dovrebbe essere al centro del dibattito politico ed economico, mentre invece resta solo sullo sfondo,