Sono sostenitore da sempre di una “vera” Repubblica Presidenziale e considero il premierato solo un parziale surrogato della via maestra, ovvero che siano sempre i cittadini ad eleggersi direttamente il vertice della propria nazione, così come ad ogni livello amministrativo.
Per me andrebbe quindi votato direttamente sia il Presidente della Repubblica che il premier, eventualmente pre-indicato da un gruppo di liste di appoggio a lui/lei collegate sulla stessa scheda elettorale, ma con la possibilità anche di un voto disgiunto (come avviene per eleggere il sindaco) nel caso si ritenesse valida una persona ad essere primo ministro (pensate ad un tecnico) anche se non fosse espressione del proprio personale schieramento politico per rendere chiara la scelta dei cittadini.
Una riforma abbastanza pasticciata come quella che si delinea non mi piace per niente e temo che la Meloni ci si impantanerà, anche perché c’è questa assurda sindrome di “lesa maestà” verso Mattarella con la paura (strumentale) di intaccare la figura ed i compiti dell’inquilino del Quirinale che viene dipinto come una specie di San Gennaro o altro taumaturgo intoccabile e salva-problemi ma che invece, alla prova dei fatti, è oggi e da sempre espressione politica di parte e come tale si comporta appena scalfita la patina del formale “super partes” che fa finta di essere. Quante volte avete ascoltato Mattarella prendersela con i “suoi” magistrati, per esempio, oppure i suoi ex del PD?
Ma torniamo al premierato contro il quale si è schierata (e si poteva dubitarne?) la senatrice a vita Liliana Segre, altra santa martire che deve avere tutto il nostro rispetto per quello che ha passato e che rappresenta, ma che non è secondo me “la più autorevole esponente del Parlamento” come viene a volte dipinta, soprattutto quando va via per la tangente sostenendo addirittura che una riforma come il premierato “riecheggia Mussolini”, il che mi pare decisamente eccessivo.
Ma quando parla la Segre si inchinano tutti, dentro e fuori i sacri confini, anche quando sostiene autentiche sciocchezze e così – in un articolo del Times britannico, giornale del gruppo Murdoch – la riforma costituzionale voluta dalla Meloni è stata accostata al nome del Duce. Nel pezzo in questione le critiche della Segre alle possibili riforme costituzionali sono diventate il pretesto per una descrizione decisamente parziale della situazione politica in Italia.
“Giorgia Meloni ha in programma di rivedere la Costituzione per dare maggiori poteri ai futuri leader italiani, sostenendo che l’attuale sistema lascia i primi ministri in preda a complotti di partito”, ha scritto il quotidiano britannico (e fin qui è acqua calda) ma citando poi le stroncature della senatrice a vita scrive che la regola del premio di maggioranza “riecheggia una legge introdotta da Benito Mussolini, il dittatore fascista, per darsi più potere”. Il riferimento è alla legge Acerbo, citata in un passaggio del discorso della Segre, legge introdotta nel 1923.
A parte che quando fu votata quella legge i fascisti in Parlamento erano una piccola minoranza (35 deputati rispetto ai 223 che l’approvarono, in una Camera che era presieduta da Enrico De Nicola, futuro primo presidente della Repubblica Italiana, ma queste cose non le vuole ricordare nessuno…) appare strano che un giornale come il Times non sia riuscito a comprendere e spiegare le ragioni della riforma proposta dal governo Meloni. Eppure lo stesso sistema di governo del Regno Unito prevede un modello che attribuisce all’esecutivo enormi poteri, delineando di fatto un sistema bipartitico nel quale chi vince ottiene un mandato forte per far approvare senza difficoltà le proprie proposte legislative e dove il leader del principale partito è addirittura automaticamente anche il primo ministro e con un re che “regna ma non governa” come prassi da qualche secolo in qua.
Ricordiamoci, tra l’altro, che la Gran Bretagna ha un sistema politico di fatto bipolare mentre in Italia (vedi proprio il caso delle prossime elezioni europee) c’è uno stuolo di partiti, partitini, partitucoli e movimenti vari che senza freni e sbarramenti genererebbero solo una grande confusione e, soprattutto, garantirebbero l’ingovernabilità salvo la consueta compravendita di voti in parlamento di cui abbiamo avuto esempi a volontà nel recente passato.
E’ quindi un po’ una forzatura (stavo scrivendo un aggettivo più forte) che la Segre si presti a questi giochetti perché l’accostamento Meloni-Mussolini è ridicolo e la stessa Segre lo sa benissimo. Piuttosto è lei che si trasforma troppo spesso dal ruolo di senatrice a vita (e quindi mai votata dai cittadini) a giudice dei buoni e dei meno buoni, dove i cattivi sono sempre quelli che non la pensano come lei.
Si lamentasse piuttosto la Segre per i passati saltimbanchi parlamentari e si chieda dov’era lei stessa quando (grazie alla legge elettorale) il volere dei cittadini era spudoratamente violato creando e sfasciando governi di segno opposto nella stessa legislatura con l’elezione di premier neppure eletti. Confondere l’autoritarismo con l’autorevolezza è una sciocchezza colossale e l’autorevolezza di un premier viene (e verrebbe ancor di più con il premierato) dal voto democratico, una verifica elettorale alla quale proprio la Segre, tanto osannata e riverita, non si è peraltro mai sottoposta.