Avrete già letto troppi commenti alle elezioni di domenica per le “Europee” e non mi dilungo, resta il fatto che l’Europa ha votato un po’ più a destra di prima, ma non abbastanza da cambiare l’impostazione di fondo e temo che le congreghe e le lobby economiche di Bruxelles troveranno quindi il modo di non far cambiare troppo l’asse ufficiale.
Il pallino è adesso tutto nelle mani del PPE (Partito Popolare Europeo) che non è un blocco monolitico, ma diviso in una quantità di interessi e partiti nazionali spesso uno contro l’altro armati. Non conoscendo ad uno ad uno gli eletti è difficile capire, almeno per ora, quanto verranno seguite le imposizioni di vertice che vorrebbero una riconferma della Von der Leyen e l’alleanza con i socialisti, ma non mi illudo che vi sia una maggioranza alternativa.
Piuttosto, sono state importanti le conseguenze del voto sul piano interno con il notevole successo della Meloni in Italia, ma soprattutto in Francia e in Germania dove il voto europeo ha distrutto l’establishment ora al potere, rilanciando così proprio il ruolo della Meloni come potenziale mediatrice per far entrare anche i Conservatori (e parte dei “non iscritti”) in maggioranza a danno dei socialisti, operazione difficile.
Certo che se si arrestasse l’ipocrisia dominante e si avesse il coraggio di prendere atto del lungo cammino fatto dal partito della Le Pen in Francia (simile a quello che fece 30 anni fa Alleanza Nazionale) evitando gli ostracismi preconcetti e stando alla realtà attuale del Rassemblement National allora sarebbe tutto diverso, ma ammettere la destra francese al “salotto buono” transalpino ed europeo sarebbe la rovina per la sinistra (anche italiana) e quindi – in nome della presunta “unità antifascista”, quello che una volta in Italia era “l’arco costituzionale” – l’emarginazione e l’ipocrisia devono continuare.
E qui c’è però in Francia il grande fatto nuovo post-elezioni: i gollisti pare abbiano accettato – almeno in parte – un patto di desistenza con la Le Pen scatenando polemiche furiose dentro e fuori il partito.
A fine mese in Francia si torna a votare perché, dopo la durissima sconfitta che ha subito, Macron ha sciolto il parlamento. Il voto sarà per collegi uninominali a doppio turno e conta chi si aggrega ai ballottaggi. Se una parte del centro scegliesse (finalmente) una alleanza a destra, per Macron e la sinistra sarebbe un disastro e quindi chi è tentato di avvicinarsi alla Le Pen (vedi il presidente dei gollisti, Eric Ciotti, subito emarginato ed espulso) va silurato, anche se tanti francesi la pensano come lui.
In giro per l’Europa la grande informazione è molto di parte: tutti coloro che si oppongono alla sinistra sono sovranisti, qualunquisti, fascisti, neofascisti, potsfascisti, criptofascisti, criptonazisti ecc.ecc. Sicuramente ci sono persone impresentabili, ma non tutte e questo è anche un modo furbo per cercare di isolare chi semplicemente dissente dal “pensiero unico”, quello che piace tanto alle sinistre europee soprattutto perché da decenni ci inzuppano il pane.
Forse, però, se a fine mese in Francia il nuovo parlamento di fatto pensionasse Macron, il quadro potrebbe finalmente cambiare, anche perché credo che progressivamente Giordano Bardella (ventottenne leader del RN, il nuovo partito dei post-lepenisti) sia un interlocutore “naturale” della Meloni costretta a non sbilanciarsi per non essere a sua volta ostracizzata.
E’ questo il vero dramma europeo: una sinistra minoritaria nei voti tiene in scacco un continente intero perché non si ha il coraggio di verificare anche altre opportunità politiche. Ma il punto debole delle destre europee è che spesso sono troppo nazionaliste e a volte ottuse, “chiuse” su sé stesse, incapaci di varare un programma comune e senza capire e far capire che l’Europa ha un suo futuro di stati nazionali uniti su alcuni punti-chiave, ma probabilmente non su tutto perché troppo diversi per lingua, cultura, abitudini. Le destre dovrebbero sostanzialmente affermare che la sovranità non deve essere esercitata da una burocrazia europea ma dai popoli, e questo – tra l’altro – ce lo dice anche la nostra stessa Costituzione.
Intanto sullo sfondo resta, dimenticato, un altro problema crescente: in Italia ha votato solo la metà degli elettori e in giro per l’Europa spesso anche meno. Un segno di crisi, superficialità, disinteresse ma anche critica che pure si fa finta di non vedere.
Infine, in chiave Ucraina, da notare che politicamente non hanno certo vinto i “falchi”, ma anche questo è un aspetto che si tiene sottotraccia perché imbarazzante, eppure il voto francese e tedesco (e non solo) – piaccia o no – è stato chiarissimo. Un altro esempio di come l’Europa “ufficiale” diverga dai sentimenti di larga parte degli europei e infatti al G7 in Puglia tutto prosegue come nulla fosse successo: veramente un assurdo.