Niente da fare: se qualcuno vuole cambiare qualcosa nell’aristocratico mondo della giustizia in Italia si ritrova immediatamente a lottare contro la “casta” delle toghe, impenetrabile ed inossidabile. Raramente qualche giudice si è mai assunto le proprie responsabilità, a parte gli eroi come Livatino, Falcone o Borsellino, che la mafia l’hanno combattuta sul serio.
Per esempio, mentre si parla da decenni dei rapporti mafia-politica, nessuno è andato ad indagare a fondo sui rapporti tra mafia e Procura palermitana, invano denunciati proprio dai giudici uccisi. Pensiamo a tutti i referendum che nei decenni si sono susseguiti sulla responsabilità dei magistrati e non sono mai stati di fatto applicati, a quanti (pochissimi) giudici siano stati portati a giudizio per sentenze dimostratesi apertamente insostenibili o ai casi infiniti in cui – a livello europeo – la giustizia italiana sia stata condannata per discriminazioni o ritardi: i responsabili dei fatti – pensate al caso Tortora – non pagano mai.
La stessa magistratura che negli anni ha sempre rivendicato la propria (doverosa) autonomia non è stata mai capace di strutturare organismi di autogoverno credibili e ben distinti dalle interferenze politiche tanto che – a parte gli scandali conclamati, ma che poi alla fine sono stati tutti più o meno insabbiati – le stesse ”liste” per l’elezione del CSM hanno sempre fatto riferimento a ben chiare aree politiche da cui, implicitamente, si attendono e si offrono adeguate e reciproche protezioni e vantaggi.
Proprio il fallito sistema di autogoverno interno e le sue concrete possibilità di interferire nelle carriere ha spinto i magistrati a schierarsi, perché l’appartenenza a questo o quel gruppo era (ed è) l’indispensabile passaporto per passare di grado in una aperta lottizzazione generale, soprattutto per raggiungere quelle posizioni di potere che a loro volta possono condizionare la politica.
Se la nostra Costituzione (sempre richiamata quando fa comodo, subito dimenticata quando nei fatti è violata) ha diviso in tre i poteri dello Stato non c’è dubbio che una repubblica parlamentare come la nostra proprio nel Parlamento abbia il suo anello più debole, in antitesi con quelli che erano i desiderata dei Padri Costituenti e nonostante che le Camere siano – o dovrebbero essere, visti i recenti sistemi elettorali – l’unica espressione diretta del volere dei cittadini.
Poi le ipocrisie dominanti, quelle che per i giudici non valgono mai. Guardate la questione della “privacy” – rigorosamente con la y – che dovrebbe difendere la riservatezza degli italiani. Varate leggi e regolamenti, stampati miliardi di moduli e formulari, studiati programmi informatici, predisposti testi da sottoscrivere, tutti sanno che è una gran perdita di tempo perché tanto, quando c’è qualcosa di veramente riservato da preservare o segretare, la norma viene aggirata ed il segreto diventava presto e comunque quello di Pulcinella.
Idem per l’ “Avviso di garanzia”, un’altra riforma che doveva permettere al cittadino-indagato di essere meglio garantito nei propri diritti sapendo per tempo (e teoricamente prima degli altri) che è in corso un’indagine su di lui e che quindi possa provvedere a difendersi.
Negli anni, però, chi riceve il fatidico “avviso” è rubricato come sostanzialmente già colpevole. I nomi degli indagati illustri escono misteriosamente quanto regolarmente dalle Procure, prendendo la strada delle redazioni e dei media e gli “avvisi” svolgono quindi una ben diversa missione pratica, antitetica aquello per cui erano stati voluti, diventando il killeraggio anticipato dei potenziali indiziati.
Non si ha sentore di un magistrato, un cancelliere, un avvocato, un brigadiere o un maresciallo, che sia mai stato inquisito e condannato per aver sveltamente passato la “velina” in mani amiche.
Idem per il “Segreto istruttorio”, già parente dell’”Avviso di garanzia”, che imporrebbe a lor signori Magistrati di non rendere pubbliche le inchieste fino al proscioglimento (e allora il silenzio precedente sarebbe stato d’oro) oppure ad un doveroso rinvio a giudizio per far giudicare il presunto colpevole in base alle prove o indizi raccolti.
Anche in questo caso il segreto viene però molto spesso violato e l’inchiesta teoricamente segreta diventa oggetto di cronaca, scandalo, dibattito o polemica, allietando le cronache politico-giudiziarie anche di questa torrida estate.
Non accenniamo solo al caso Santanchè in cui la ministra sostiene di non essere tuttora indagata, né ai soliti casi di intercettazioni sussurrate, ma per esempio alla brutta storia di La Russa Jr. apparsa direttamente sul Corriere della Sera in prima pagina, diventato subito un quotidiano prurignoso gossip estivo che infiamma le discussioni da ombrellone, ma anche le cronache politico-giudiziarie.
Casi che purtroppo spesso vengono ignorati e sepolti, ma questa volta l’Apache è “figlio di” e quindi – viva la privacy e il segreto istruttorio – il suo nome è spiattellato nel mondo intero, del diciannovenne vengono pubblicate foto di lui, fratelli e famigliari, si aprono polemiche ed accuse al di lui padre di cui si chiede il fatidico (e consueto) “passo indietro”. Dell’inchiesta giudiziaria si conosce da subito il nome della magistrata inquirente e i suoi collaboratori (che non si sottraggono ai media), si montano polemiche e vengono forniti piccanti particolari non confermabili nè confermati: il diciannovenne – comunque finirà – avrà a vita un bollo di infamia.
Nessuno si permette di dire e scrivere che siamo davanti a clamorose violazioni di legge, perché altrimenti si passa subito come amico degli Apache, ma avevo la stessa opinione anche per i guai combinati dal figlio di Grillo.
Intanto la magistrata milanese – assunta agli onori della cronaca – indaga, ma alla fine di questo show mediatico, qualunque cosa deciderà, avrà contro mezza Italia.
Se proscioglierà l’Apache molti giornali lasceranno intendere che si è appiattita al potere e se in futuro avrà una promozione sarà “L’evidente dimostrazione del favoritismo a suo tempo concesso”. Idem, però, se lo rinviasse a giudizio con indizi opinabili, perché l’altra mezza Italia vedrà nella sua decisione una motivazione politica per azzannare ai polpacci il capotribù degli Apache e – quando la promozione arrivasse – il commento sarà esattamente quello già sopra virgolettato.
E’ mai possibile sperare in magistrati rigorosi, ma indipendenti e soprattutto riservati?