Mai come quest’anno l’affollato show dell’Assemblea Generale dell’ONU sta confermando a New York che – a dispetto dei politici-attori che si contendono il red carpet e il microfono sotto gli obiettivi delle TV – il grande ed elegante “mondo blu” del Palazzo di Vetro non è stato in grado di partorire nemmeno un topolino.
Neppure uno degli scontri in atto nel mondo vede infatti l’ONU attore principale di mediazione o almeno compartecipe alle iniziative per il ripristino della pace: in Libano i razzi si incrociano sulla testa dei nostri soldati del contingente UNIIFIL che sostanzialmente non toccano palla, in Ucraina le forze ONU non sono nemmeno nominate, in Myanmar ci si ammazza a volontà con l’ONU totalmente assente, ma che non è neppure capace di dire la parola “fine” anche alle troppe crisi politiche locali.
Nessuno tiene più il conto delle miriadi di “risoluzioni” man mano approvate (e non parliamo poi di quelle respinte con diritto di veto) dall’Assemblea Generale o dal Consiglio di Sicurezza tanto che i dittatori o i colonnelli di turno continuano indisturbati a violare i principi fondamentali della “Carta” senza neppure più preoccuparsi di salvare la faccia.
L’Onu (che peraltro è travolto dai debiti dei paesi inadempienti, che non riescono o non vogliono perfino pagare le quote annuali) è veramente in crisi e non va meglio con le sue Agenzie di vario ordine e grado che dovrebbero alleviare le sofferenze dei civili ma – dove ci riescono – portano a risultati costi-benefici davvero inquietanti anche perché alle spalle dello “show” è nata, cresciuta e si è ben radicata una ressa di delegazioni, funzionari, ambasciatori e mantenuti vari che pesano come macigni sulle casse comuni, ma molto spesso senza dare concreti risultati.
Il vernissage dell’Assemblea plenaria è comunque da anni un “must” per i potenti della terra (salvo quelli inseguiti da mandati di cattura internazionali, non si sa mai) che arrivano, parlano per i pochi minuti loro assegnati nel disinteresse generale, salutano e se ne vanno rigorosamente senza neppure ascoltare quello che hanno da dire gli oratori successivi. Alle spalle dei leader stuoli di portaborse, diplomatici, assistenti, parlamentari che approfittano di fine settembre per qualche giorno di shopping a New York.
Resta davvero poco dello spirito originario dell’ONU, il valore almeno morale delle sue decisioni ha perso d’importanza anche per i “grandi”, non vogliono cambiare neppure i regolamenti e si mantengono stretto il loro diritto di veto per bloccarsi a vicenda andando spesso contro la logica e soprattutto la giustizia per i propri interessi.
D’altronde i quasi 200 paesi partecipanti sono tutti equiparati tra loro e teoricamente San Marino e le Isole Barbados contano come gli USA al momento del voto: principio di equità e democrazia, ma che si inceppa poi al momento di concretizzare qualcosa.
Anche Giorgia Meloni è venuta, ha parlato (in buon inglese, un bel passo avanti rispetto a troppi premier italiani alla Renzi che neppure lo spiccicavano o si facevano ridere dietro per il loro accento) ha ricevuto un premio dalle mani di Elon Musk e se ne è tornata a Roma sull’aereo di stato. Biden ha invece salutato tutti con commozione: comunque andrà il 5 novembre, per lui era l’ultima sua uscita internazionale ed appare già come l’ombra di sé stesso. Umanamente colpisce, ma pensare che fino a due mesi fa era lui il candidato democratico resta davvero sconcertante.