Peccato che gli italiani conoscano così poco la propria storia.
La polemica sul “Manifesto di Ventotene” sarebbe stata ben diversa se i deputati della sinistra, che urlavano la settimana scorsa alla Camera contro la Meloni, avessero davvero letto il documento prima di scalmanarsi, perché il “Manifesto” è forse diventato un mito, ma da quel documento (per fortuna) non è nato nulla di concreto in Europa – checchè ne dica Benigni – né poteva nascere, perché i suoi padri fondatori – da Adenauer a De Gasperi, da Schuman a Spaak – tutto erano tranne che federalisti o estremisti come Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, che ipotizzavano un’Europa laica, federale, sostanzialmente comunista e guidata da un’élite (perché “il popolo è ancora immaturo”) che governasse con un sistema socialista rivoluzionario (anzi di “dittatura rivoluzionaria”) ed addirittura di fatto abolendo la proprietà privata, oltre che le imprese capitalistiche, e dimostrando un odio aperto verso la Chiesa cattolica.
“Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato” concludeva l’appello. Ma l’Europa che è nata dopo la guerra non è una federazione e non è cresciuta (per fortuna!) con quelle basi ideali.
Un po’ patetica quindi la scampagnata a Ventotene di un paio di centinaia di persone vicine al PD (dalla “lotta di classe” siamo passati alla “gita di classe”?) per quasi “riconsacrarla”.
Un paradosso, salvo ammettere che quel partito abbia fatto oggi sue anche le tesi libertarie e antidemocratiche espresse nel documento.
Il problema è che ormai Schlein non poteva più fare l’ennesima marcia indietro e allora bisognava far finta di trasformare la gazzarra alla Camera in un’impetuosa neo ondata di antifascismo militante, caduta nel disinteresse – va pur detto – della stragrande maggioranza degli italiani.
Ma la macchina propagandistica non si può fermare ed ecco che, immediata, su Rai 1 e reti collegate (perfino in Eurovisione!) è andato in scena lo show di Benigni con una sua lunga interpretazione personale dei fatti e delle (presunte) conseguenze sulla politica europea del dopoguerra.
Uno show pagato dalla Rai ben 1.000.000 (dicesi un milione) di euro! Quanti lo sanno?
Un lungo monologo irrefrenabile e concretamente incentrato tutto “contro” Giorgio Meloni. Quanto avrei dato per essere presente in sala e – anziché fare il silenzioso spettatore – alzarmi e contestare a Benigni un paio delle sciocchezze storiche che ha inanellato, le stesse sottolineate da diversi giornalisti e storici nei giorni scorsi, a cominciare da Battista, Cacciari e Galli della Loggia, uniti in un raro esempio di libertà di pensiero.
Certo si riapre la questione proprio di una Rai che in un colpo solo ha dimostrato non solo di non essere infeudata da destra, ma piuttosto di restare saldamente in mano a quella sinistra “di lotta e di salotto” che poi tanto piange e si lamenta, mentre Benigni fa il comico-compagno che come sempre si fa pagare bene da tutti noi.
Intanto, una volta di più, il richiamo antifascista si svilisce però in un cataplasma indispensabile per coprire i profondi dissidi interni che scuotono la sinistra su quasi tutte le tematiche europee sul tappeto, così come avviene nel centrodestra in materia di riarmo.
Un “antifascismo da parata” che però monopolizza la storia, l’informazione, i media e viene trasformato in una sorta di foglia di fico per tutte le occasioni, mentre saggezza sarebbe leggere i documenti ed interpretare i fatti prima di urlare.
Questo vale sia per il “Manifesto di Ventotene” (che andrebbe letto da tutti) che per capire le parole di Meloni quando – in questo caso – ha solo espresso sacrosanti ma scomode verità, depistato piuttosto la platea dal vero e quotidiano equilibrismo che le è necessario per barcamenarsi tra Trump e i vertici UE, il diffuso malcontento popolare per la guerra in Ucraina e la necessità di non emarginare l’Italia dal contesto generale ed europeo.