L’accademico russo Sergey Karaganov scrive: “Sta diventando sempre più evidente che il nostro scontro con l’Occidente non finirà se noi otterremo una vittoria parziale, o addirittura schiacciante, in Ucraina. Perfino se noi liberassimo completamente le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhje e Kherson, si tratterebbe di una vittoria minimale (in italiano la definiremmo una “vittoria di Pirro”, ndr.). Un successo soltanto un poco più grande sarebbe di liberare tutta l’Ucraina dell’est e del sud entro un anno o due. Tuttavia ciò lascerebbe una parte del Paese con una popolazione ultra nazionalista perfino più arrabbiata e piena di armi, una ferita sanguinante che prelude a inevitabili complicazioni quali un’altra guerra. La situazione sarebbe ancora peggiore se noi liberassimo tutta l’Ucraina al costo di sacrifici mostruosi e la lasciassimo piena di rovine con una popolazione che, nella maggior parte dei casi, ci odia… Ognuna di queste opzioni, specialmente l’ultima, distrarrebbe la Russia da quella che è la svolta necessaria nei campi spirituale, economico, militare e politico verso l’est dell’Eurasia. Inoltre i territori dell’attuale Ucraina, specialmente le parti centrale e occidentale, ci impegneranno con risorse umane e finanziarie. Queste regioni furono già pesantemente sovvenzionate anche durante l’epoca sovietica. Nel frattempo l’ostilità dell’Occidente continuerà; loro alimenteranno una sotterranea guerriglia “civile”. La causa radicale… della crisi ucraina, così come per altri conflitti nel mondo e l’aumento generale delle minacce militari, è l’accelerazione del fallimento delle élite occidentali contemporanee”.
Queste parole non sono state scritte da un qualunque intellettuale russo, bensì da un influente analista di politica estera di quel Paese. Si tratta del professor Sergey Karaganov, già consigliere per la politica internazionale di Eltsin e poi di Putin, oggi presidente onorario del Think Tank russo Council of Foreign and Defense Policy e accademico supervisore alla Scuola di economia internazionale e Alta scuola di Affari internazionali e economia a Mosca. Karaganov è da sempre stato considerato liberale, filooccidentale e filoamericano, per questo motivo il suo intervento rappresenta una vera e propria metamorfosi. Questo suo scritto ha suscitato negli ambienti accademici russi un dibattito molto partecipato e oggetto di un vivo contraddittorio. L’intero testo è stato diffuso in lingua inglese dalla televisione statale Russian Television.
Nel continuare nella sua esposizione il professore accusa, nemmeno velatamente, il governo russo “di aver sottovalutato le intenzioni aggressive dell’Occidente e di aver perso tempo nel reagire con decisione al fine di prevenire la situazione critica dei nostri giorni”. “Per un quarto di secolo non siamo stati ascoltati quando mettevamo in guardia che un allargamento della Nato avrebbe portato alla guerra; noi abbiamo provato a ritardare, a “negoziare”. Come risultato siano finiti in un conflitto armato serio. Ora il prezzo dell’indecisione è in un ordine di grandezza più alto di quello che sarebbe stato in precedenza”. Ritiene che ciò che l’Occidente sta facendo in Ucraina e ciò che ha voluto fare nell’allargare la NATO fino ai confini russi sia frutto della consapevolezza americana di stare perdendo quel super-potere che le ha consentito per decenni di “succhiare” il benessere da altri Paesi nel mondo imponendo, soprattutto con la forza bruta, la propria volontà politica ed economica e la propria dominazione culturale. “Questo collasso (occidentale ndr.) politico, morale ed economico ha cominciato a manifestarsi dalla metà degli anni ’60, fu interrotto dalla sparizione dell’Unione Sovietica ma riemerse con rinnovato vigore negli anni 2000 (la sconfitta degli americani e dei loro alleati in Iraq e Afganistan e la crisi del modello economico occidentale nel 2008 ne sono state le pietre miliari); idealmente gli americani vorrebbero semplicemente spazzare via il nostro Paese e così indebolire radicalmente la super potenza alternativa emergente, la Cina”.
Come sintomo, a suo dire, del “decadimento” occidentale il professore cita le “ideologie” che definisce anti-umane: “La negazione della famiglia, della storia patria, dell’amore tra uomini e donne, della fede, del servizio ad alti ideali, qualunque cosa che sia umana. La loro filosofia è di spazzare via chiunque resista… ln modo da ridurre la loro capacità di opporsi al moderno globalismo capitalista”. E continua: “gli Stati Uniti indeboliti stanno distruggendo l’Europa occidentale e gli altri paesi che dipendono da loro, cercando di spingerli in una guerra che seguirà quella dell’Ucraina. Le élite nella maggior parte di questi paesi… stanno doverosamente guidando i loro popoli al macello”.
“Le tregue sono possibili, ma la conciliazione non lo è… questo andazzo del movimento occidentale è un chiaro segno di un cammino verso lo scoppio della terza guerra mondiale. È già cominciata e potrebbe precipitare in una conflagrazione inarrestabile, sia per un accidente sia per la crescente incompetenza e irresponsabilità dei gruppi dirigenti dell’occidente”.
Quelle sin qui citate sono parole preoccupanti ma che costituiscono solo una piccola parte del lungo scritto del suddetto accademico.
Soprattutto nella prima parte, quella in cui sembra non vedere una qualche soluzione positiva alla crisi in Ucraina è difficile dargli torto, viste le condizioni attuali. Le dichiarazioni, anche recenti, del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e la dichiarata volontà di molti governi occidentali di continuare con gli aiuti in armamenti e denaro a Kiev, costi quel che costi, sono indicativi dell’intenzione di non consentire alcuna pace che non sia la sconfitta totale della Russia. Dall’altra parte è scontato che la Russia non accetterà mai né di ritirarsi né di consentire che la Nato possa installarsi a poche centinaia di chilometri da Mosca.
Cosa vorrebbero e dovrebbero ottenere i russi? Ecco la risposta di Karaganov: “Una opzione più attrattiva è la liberazione e la riunificazione dell’est e del sud, e l’imposizione della capitolazione di ciò che resta dell’Ucraina con una demilitarizzazione completa, la creazione di uno Stato-cuscinetto amichevole. Tuttavia tale risultato sarebbe possibile solamente se noi fossimo capaci di rompere la volontà occidentale di supportare la giunta di Kiev per usarla contro di noi. Occorre forzare il blocco guidato dagli USA a una ritirata strategica”.
Qual è, allora, la soluzione che Karaganov suggerisce per raggiungere tali scopi? Purtroppo, è la più terribile di tutte: l’uso dell’arma atomica. L’allusione è alle bombe nucleari cosiddette “tattiche”, comunque potenti almeno tre volte di più di quelle sganciate a Hiroshima e a Nagasaki.
Il professore che considerata la sua storia e la sua età non può essere identificato in uno sprovveduto qualunque, ritiene che solamente ricorrendo a questi mezzi drastici si potrà “convincere” il mondo occidentale, e cioè gli Stati Uniti, a porre fine al proprio “desiderio imperialista”. È anche convinto che se il presidente degli Stati Uniti non fosse preso del tutto dalla pazzia dovrebbe rinunciare a reagire allo stesso modo, proprio per non dare un via formale alla terza guerra mondiale. Se malauguratamente, sempre secondo le parole di Karaganov, questo dovesse succedere, l’Europa sarebbe il primo bersaglio avendo gli americani sparpagliato proprio sul territorio europeo (Germania, Italia, Benelux, anche altrove) le basi più vicine alla Russia equipaggiate con armi atomiche.
Sempre secondo il professore, il governo di Mosca ha già compiuto i primi giusti passi con le pertinenti dichiarazioni del presidente e di altri leader e con il dispiegamento di armi nucleari e dei loro vettori in Bielorussia. “Noi non possiamo ripetere un’altra volta lo scenario ucraino”. “(…) il nemico deve sapere che siamo pronti a sferrare un attacco preventivo di rappresaglia per tutte le sue aggressioni, attuali e passate, al fine di impedire uno scivolamento nella guerra termonucleare globale… il rischio di un attacco nucleare “di ritorsione” e, in effetti, qualsiasi altro attacco sul nostro territorio può essere ridotto al minimo. Solo se un pazzo siederà alla Casa Bianca, uno che odi anche il suo proprio Paese, deciderà che gli Stati Uniti ci colpiranno per difendere gli europei e causando così una ritorsione che sacrificherà una possibile Boston per una certa Poznan”. “(…) È moralmente una scelta spaventosa, se noi volessimo usare “l’arma di Dio” e condannare noi stessi a una grande perdita spirituale. Ma se questo non fosse fatto, non solo la Russia potrebbe perire, ma molto probabilmente tutta la civiltà dell’uomo finirà”. Il vero problema, quello che da noi si fa finta di non capire, è che in Russia dopo le esperienze delle “rivoluzioni colorate” favorite dall’occidente e il crollo dell’URSS, la guerra in Ucraina è considerata una questione di vita o di morte.
A dimostrazione della sua visione “realistica”, il Karaganov non manca di mostrare la sua consapevolezza che la Russia, usando l’atomica, innescherebbe reazioni negative in tanti Paesi del mondo, ma ritiene altresì che “(…) al vincitore verrà sempre riconosciuta la ragione…”.
Nel suo lungo scritto non manca anche di citare la Cina, dichiarando come, contemporaneamente al desiderio di Pechino che la guerra in Ucraina duri il più a lungo possibile in modo da tenere impegnati gli americani, i cinesi, non si ritengono ancora pronti alla guerra e preferiscono evitare uno scontro diretto immediato, senza tuttavia rinunciare a supportare la Russia da “dietro le quinte”.
In Russia c’è chi è d’accordo e chi contesta quanto auspicato dal professore Karaganov, e non è possibile sapere come le sue tesi possano influire sulle decisioni del Cremlino. È comunque significativo e potrebbe essere inteso come un ultimo avvertimento a tutti gli occidentali che il canale televisivo russo in lingua inglese Russian Television si sia preso la briga di tradurlo e diffonderlo nella sua versione integrale.
A questo punto, e qualunque sia il futuro che ci aspetta, sorgono almeno due semplici domande che vanno girate al governo statunitense, ai governi europei e a tutti coloro che avranno la ventura di leggere queste righe.
La prima: se la Nato, come recita il suo Statuto è un’organizzazione difensiva, se nessuno, di là delle affermazioni propagandiste, ha mai potuto dimostrare una volontà russa di ri-appropriarsi di paesi che fecero parte dell’Unione Sovietica o del Patto di Varsavia, se è sempre stato risaputo che Mosca avrebbe considerato un attentato alla propria sicurezza esistenziale una Ucraina che facesse parte della NATO, se gli accordi OSCE statuiscono che ogni paese può provvedere alla propria sicurezza come meglio crede, purché nel farlo non metta a rischio la sicurezza altrui, ebbene, se tutto ciò sussiste, perché si è voluto incoraggiare l’Ucraina fino al punto da farle addirittura scrivere nella recente Costituzione che l’ingresso nella NATO è per loro l’obiettivo da perseguire?
La seconda: quali sono i veri motivi per i quali noi occidentali vogliamo a tutti i costi associare l’Ucraina alla NATO e all’Unione Europea, pur sapendo che ciò suonerebbe come uno schiaffo insopportabile per Mosca? Si attendono risposte.