Le ragioni che spingono ogni elettore verso la scelta che farà sono sempre più di una e non ogni volta tutte coscienti perfino per chi vota. Figuriamoci come possano essere tutte chiare a chi cerca di spiegare politicamente il perché di consensi o di ostilità.
Certamente, il più delle volte i motivi che spingono con quel voto a stare da una parte o dall’altra o da un’altra ancora sono magari irrazionali, seppur chi lo fa dà a sé stesso spiegazioni del tutto logiche. È ciò che succede nel tifo calcistico. Provate a chiedere ad un tifoso sfegatato perché tifa per quella certa squadra.
Vi risponderà con una serie di ragioni apparentemente razionali, ma lui stesso in fondo ne dubita e non riuscirà mai a spiegarsi con sincera sicurezza i motivi di quella “passione”. In politica, quando ancora vivevano le ideologie contrapposte, tutto era più semplice, visto che quali fossero le “verità” e le motivazioni per giustificarle, seppur a posteriori, erano disponibili per tutti, ovunque e ogni giorno. Comunque esistevano i libri “Bibbia”, forse mai letti, che si potevano citare.
Quando scomparvero le grandi contrapposizioni ideologiche i voti cominciarono a diventare sempre più “mobili” e le “chiese” dovettero fare i conti con “fedeli” sempre più incerti. Fu allora che cominciò a manifestarsi con un costante crescendo il fenomeno dell’astensionismo.
Chi continuava a votare, pur mantenendo davanti a sé stesso ed agli altri una qualche ragione oggettivabile dovette, quindi, affidarsi alle personalità che meglio potevano rappresentare, a torto o a ragione, ciò cui aspiravano o immaginavano di aspirare. Frequentemente, il fenomeno avveniva attraverso quel meccanismo che gli psicologi chiamano “proiezione” e che consiste nell’attribuire al personaggio in oggetto obiettivi o caratteristiche che in realtà sono soltanto immaginate.
Nonostante le evidenti differenze tra i sistemi politici europei e quello americano, in questo secondo caso e in particolare durante le elezioni presidenziali, la scelta è, almeno in parte, dovuta soprattutto alla personalità dei candidati e a come sono percepiti. Dico almeno in parte poiché negli USA la secolare divisione tra soli due partiti ha continuato per molti (ma, evidentemente, non per tutti) a restare una discriminante.
Gli analisti politici (e gli pseudo-tali) hanno cercato, e a volte trovato, molte ragioni razionali per giustificare la scelta di voto tra Trump e Harris: il fenomeno dell’immigrazione, i problemi di disoccupazione dei colletti blu, l’inflazione, soldi spesi per guerre lontane e incomprensibili, la candidatura tardiva e l’evidente inadeguatezza della candidata democratica, ecc.
Tutte motivazioni reali ma ciò che pochi hanno non sufficientemente evidenziato è la ragione psicologica inconscia che ha spinto molti elettori verso una direzione o l’altra. Non va dimenticato che tutti i candidati particolarmente in vista hanno sempre una loro storia, una loro identità, un loro qualche “programma” ma che sono anche oggetto di quella “proiezione” cui si accennava poco sopra.
Ebbene, Harris è stata percepita come rappresentante di un sistema ora dominante, soffocante per il popolo e vicino alle élite; Trump come chi si batteva contro quel sistema.
È innegabile che sia negli Stati Uniti sia nelle altre democrazie occidentali è in corso da tempo uno scivolamento sociale verso il cosiddetto “pensiero unico”. In particolare, proprio le cosiddette “sinistre” (negli USA i Democratici) ne sono i dichiarati interpreti e lo impongono a tutti grazie al controllo esercitato sulla stampa, al conformismo becero degli intellettuali e alla censura praticata in vario modo verso chi non sia “in sintonia”.
Sto parlando di quei presunti “valori” che vengono smerciati come universali ed assoluti, cioè come l’unica verità ammissibile. Eccone qualche esempio: la cultura woke, il politicamente corretto, l’enfasi sul “Bene” dell’immigrazione, l’ideologismo green e quell’assurda a-sessualità che è il pensiero gender. Il paradosso sta nel fatto che mentre nel passato le “sinistre” sembravano essere coloro che prendevano le parti delle minoranze contro la potenziale arroganza impositiva della maggioranza, oggi sono assurte ad essere diventate l’emblema della prepotenza di poche minoranze contro la maggioranza della popolazione.
Da chi è composta questa “maggioranza”? Da chi sa o percepisce pur senza il coraggio di manifestarlo pubblicamente che il gender è una idiozia perché esistono maschi e femmine, che esistono etero e omosessuali, che esistono anche, seppur rari, i transgender, ma poi ci si ferma li ed il resto è solo frutto di poche fantasie malate o di chi, semplicemente, crede di sentirsi “moderno”.
La maggioranza ha capito che la filosofia woke è la negazione delle proprie radici e non è quindi accettabile, ha capito che il battage sulla responsabilità umana dei cambiamenti climatici è per lo meno esagerata, visto che nella storia del nostro pianeta variazioni di clima molto importanti sono sempre avvenute anche in assenza di industrie e di uso del petrolio.
La maggioranza ha capito che il politicamente corretto è pura ipocrisia o becero conformismo e che l’immigrazione incontrollata nei numeri e nel tipo di cultura è fonte di gravi tensioni sociali e favorisce la delinquenza. Ha anche capito, magari sempre inconsciamente, che anche nelle democrazie più storicamente consolidate esistono certi poteri (finanziari) sempre più forti che condizionano la politica e rendono quindi pura apparenza molti aspetti della lotta tra partiti.
Nelle elezioni americane questi sentimenti, pur non essendo la sola ragione della vittoria di Trump, hanno giocato un grande ruolo. Se ci si chiede perché molti supposti elettori Democratici hanno votato a favore dell’aborto nei referendum e poi Repubblicano nelle elezioni una parte della spiegazione sta proprio lì. Chissà sa la nostra “sinistra” sarà capace di capirlo? Ma forse manca troppo di capacità introspettiva e di autocritica per capirlo.
Trump, pur essendo un miliardario che, a differenza del mito americano non si era “fatto da solo”, pur essendo un bancarottiere e pure, probabilmente, un evasore fiscale è stato percepito come “il” personaggio anti-sistema. Il suo rompere le regole nel linguaggio, il suo maramaldeggiare le abitudini sociali, il suo essere ostracizzato dai media hanno fatto da colore alla sua esuberante personalità.
In qualche modo, lo hanno reso credibile come uomo della riscossa di quelle fasce della popolazione che non potevano più identificarsi con la classe dirigente oramai solo autoreferente.
Ciò che ha prevalso nella mente dei suoi elettori è il semplice buonsenso quotidiano contro “verità” incomprensibili e contro natura. Il fatto che le élite mediatiche, gli intellettuali conformisti e perfino la maggior parte delle star miliardarie e ingioiellate, si pronunciassero con una sola voce contro di lui lo ha reso ancora più appetibile agli occhi di chi si sentiva vessato da “verità assolute” non sue ma non aveva mai avuto il coraggio, o il modo, di dirlo apertamente.